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- Opuntia | terrimago
BOTANICA OPUNTIA FICUS-INDICA di CARLA DE AGOSTINI L’ Opuntia ficus-indica, meglio conosciuto come ficodindia, è una pianta succulenta, con foglie spesse e carnose, della famiglia delle Cactacee ed è xerofila, ossia che vive preferibilmente in ambienti aridi, dove può raggiungere anche i 5 metri di altezza. La pianta non ha un tronco principale, i suoi fusti sono i cladodi, comunemente noti come pale, che si occupano della fotosintesi, mentre le sue foglie col tempo si sono evolute in spine. La sua grande capacità di adattamento in ambienti sfavorevoli è dovuta anche alla sua peculiare fotosintesi che limita le perdite di acqua. Questa via fotosintetica, chiamata Metabolismo Acido delle Crassulacee o CAM, separa nel tempo i processi di assimilazione e fissazione della CO2. Le piante CAM, infatti, aprono gli stomi di notte e non di giorno per l’assorbimento di anidride carbonica. Questo avviene perché di notte le temperature sono minori e la pianta perde meno acqua di quanta ne perderebbe di giorno, quando invece chiude gli stomi e converte l’energia in zuccheri semplici. Questo tipo di fotosintesi aumenta la capacità delle piante succulente di mantenere l’equilibrio idrico, motivo per cui la maggior parte delle piante CAM occupa ambienti aridi o salini, e in generale tutti quelli nei quali la disponibilità idrica è periodicamente bassa. L’origine dell’epiteto Opuntia ficus-indica è stata oggetto di dibattito: secondo alcuni deriva da un’antica regione della Grecia, la Locride Opuntia e dalla sua capitale Opunte, nei cui pressi gli scritti di Plinio il Vecchio riportavano di una pianta con frutti gustosi che radicava dai rami. Col tempo, però è stato confermato che la pianta è originaria del Messico e il nome botanico è quindi dovuto alla somiglianza morfologica del suo frutto col fico mediterraneo e all’origine geografica, le Indie occidentali. Una leggenda vuole che ai tempi dei conquistatori spagnoli l’imperatore degli Atzechi, Montezuma, fosse solito ricevere come tributo dagli stati assoggettati sacchi pieni di grana . Ossia una cocciniglia (Dactylopius coccus) parassita dei cladodi del ficodindia, dal cui corpo essiccato si può estrarre la tinta del rosso carminio, utile per tingere ceramiche, tessuti e architetture, di una tonalità talmente intensa mai vista prima. Il suo potere colorante è infatti dieci volte più forte e persistente del kermes , ritenuto fino ad allora il miglior prodotto per la tintura rossa, tanto che gli spagnoli decisero di tenere nascosto il procedimento per quasi due secoli e mezzo, creando il monopolio della grana cochinilla , che divenne tra i beni più richiesti. Tra i più grandi acquirenti spiccano gli inglesi che tenevano particolarmente al colore delle loro divise, le famose red coats. Fino a quando nel 1777 un medico francese riuscì a scoprire il processo. Ottenuta l’informazione gli inglesi esportano in Australia la pianta e la sua cocciniglia, nella speranza di realizzare piantagioni per realizzare la grana, ma nonostante il clima apparentemente perfetto, gli insetti non sopravvissero. Al contrario, i fichidindia divennero delle piante infestanti danneggiando i pascoli e il territorio: si stima che nel 1920 fossero diffuse su oltre 30 milioni di ettari, con una velocità di conquista di mezzo milione di ettari all’anno! Un danno enorme che ancora oggi si sta cercando di porre rimedio cercando soluzioni. In Europa la pianta venne introdotta per il fascino che emanava e nel XVI secolo divenne un importante protagonista dei giardini botanici, sia per ragioni di curiosità scientifica e che per la sua vocazione ornamentale. Successo confermato anche dalla frequenza con cui la pianta è rappresentata nei disegni o nelle arti figurative, come ad esempio nella Fontana dei Quattro Fiumi a piazza Navona, dove Bernini mette l’Opuntia a sfondo della rappresentazione del Rio de la Plata. In tutto il bacino del Mediterraneo la sua capacità di adattamento e di propagazione ne hanno facilitato la riproduzione, specialmente nelle isole italiane, dove il ficodindia si è acclimatato fino a divenire un elemento caratteristico del paesaggio e spesso viene utilizzato come frangivento o recinto per i greggi. Inoltre si è rivelato una inesauribile fonte di prodotti e funzioni, la pianta è stata subito apprezzata per l’uso foraggero dei cladodi e per i frutti, che possono essere consumati freschi o utilizzati anche per la produzione di succhi, liquori, gelatine, marmellate, dolcificanti e tanto altro. In Messico si mangiano anche i giovani cladodi, noti come nopalitos, e utilizzati come verdura fresca. La Sicilia è quella che presenta, storicamente, il più ampio panorama di utilizzazioni. Viene infatti coltivato nelle aree interne, dove i frutti vengono definiti addirittura il “pane dei poveri” e nelle zone costiere, tendenzialmente nei giardini fruttiferi per uso produttivo e di piacere. La tradizione contadina siciliana è ricca di prodotti del ficodindia, dal suo liquore ai mostaccioli (biscotti tipici) fino alla mostarda. Nel 1891 René Bazin, scrittore francese di fine ‘800, scrisse che “con una ventina di fichidindia… un siciliano trova la maniera di fare prima colazione, di pranzare, di cenare e di cantare nell’intervallo”. Ed è dalle pale siciliane, e in parte sarde, che il ficodindia arriva e invade l’Eritrea, piantata sia dai missionari italiani del 19° secolo che dai migranti della prima colonizzazione italiana. Qui, i beles, nome in eritreo, non sono solo i frutti ma è anche l’appellativo scherzosamente dato dai coetanei del Corno d'Africa ai giovani eritrei di seconda generazione che risiedono in Italia, perché arrivano con la stessa puntualità dei frutti: nella stagione delle piogge estive, e poi ripartono. Oggigiorno l’Opuntia ficus-indica viene usato per i prodotti più disparati, sia per il suo alto valore nutrizionale, ricco di minerali, soprattutto calcio, fosforo e vitamina C sia per la sua mucillagine, la sostanza che permette alla pianta di avere riserve d’acqua. Grazie ad essa, il ficodindia è infatti diventato un grande protagonista nelle innovazioni ecosostenibili. Per esempio, una professoressa messicana di ingegneria chimica, S. Pascoe Ortiz, ha brevettato un materiale plastico e biodegradabile: mescolando il succo di ficodindia con glicerina, proteine e cere naturali, ha ottenuto un liquido che dopo essere laminato ed essiccato, diventa una bioplastica completamente atossica, biodegradabile e commestibile. Anche in Italia proliferano gli utilizzi alternativi del ficodindia, ad esempio, sempre dalla mucillagine, è stato sperimentato un collante per le operazioni di restauro degli affreschi e dai suoi scarti un’industria tessile ha ricavato un eco-pelle cruelty-free. Ma non basta, ci sono anche occhiali da sole derivati dalle loro fibre, mobili e lampade scultoree realizzate con gli scarti delle pale che a fine vita sono interamente biodegradabili! GALLERY Foto ©CRISTINA ARCHINTO Link Giardino di Valeria Parco Paternò del Toscano Giardino Botanico di Pallanca Giardino Botanico Villa Rocca Altri AMBIENTi E BOTANICA Papaveri e api Vie cave Alberi Caño Cristales Palmeti Palmeti Caldara di Manziana Terra scoscesa Tevere
- Villa Marlia e le camelie | Terrimago
LUCCA La Villa Reale di Marlia e le sue Camelie Fotografie e testo di Cris tina Archinto Camelia japonica "Bellina Major"" Villa Marlia , un'incantevole dimora rinascimentale sita nelle vicinanze di Lucca, rappresenta uno dei tesori della regione. La sua bellezza è sublimata dal celebre Viale della Camelie, dove il visitatore viene rapito dalla visione di oltre quaranta varietà di Camellia japonica, che con i loro fiori eleganti e vistosi, declinati in varie tonalità di rosso, rosa, bianco e rosa, si stagliano tra grandi cespugli dalle foglie verdi lucide. Il leggero susseguirsi del ruscello, che trasporta i petali caduti verso valle, crea una piacevole sensazione di freschezza e di una certa atmosfera orientale, in grado di stregare i sensi del visitatore. La camelia è un fiore originario dell'Asia orientale, principalmente della C ina e successivamente del Giappone. Le prime menzioni ritrovate sulle camelie risalgono alla Cina del terzo secolo a.C., dove il poeta Hsu Fu scrisse di un fiore meraviglioso che cresceva nella provincia di Hunan. Successivamente la sua coltivazione venne introdotta in Giappone dove diventò particolarmente popolare tra la nobiltà per la sua bellezza e la sua importanza simbolica. Durante il periodo Edo (1603-1868), le camelie furono coltivate in giardini privati e pubblici in tutto il Giappone anche per la loro varietà di colori. Camelia japonica "Francesca da Rimini" In occidente le camelie furono scoperte nel XVIII secolo dal missionario gesuita francese Georg Joseph Kamel, che viveva nelle Filippine. Kamel scoprì la pianta e la descrisse nel suo lavoro "Herbarium Amboinense" del 1704. Tuttavia, la diffusione vera e propria delle camelie in Europa e la loro popolarità come pianta ornamentale è da attribuite agli olandesi dal 1739. In passato il grande innovatore della poesia giapponese e padre del genere haiku, Matsuo Basho (1644-1694), ispirandosi alla natura e ai paesaggi che incontrava girando per il Giappone un giorno scrisse, "La camelia, dolce, solitaria e senza pretese, più che qualsiasi altra pianta, mi ricorda la bellezza umana." Oggi non sono certa che la penserebbe allo stesso modo per quanto riguarda l’umanità, ma la bellezza della Camelia non è di certo appassita nel tempo. La Villa Reale di Marlia offre anche una lunga storia piena di personaggi. Nata come un fortilizio per il Duca di Tuscia diventò col tempo un palazzo signorile passando da una famiglia all’altra fino al 1651 quando venne acquistata da Olivieri e Lelio Orsetti. I nuovi proprietari innamorati del luogo avviarono notevoli ampliamenti e abbellimenti concentrandosi anche sul giardino con l’aiuto del celebre architetto paesaggista francese Jean-Baptiste Dye con nuove sistemazioni di viali e giardini scenografici dal gusto decisamente barocco. Nel 1806 fu la volta di Elisa Bonaparte Baciocchi, sorella di Napoleone e allora principessa di Lucca, che acquistò la proprietà. Il legame della Principessa con la Villa Reale di Marlia fu particolarmente appassionato e a lei infatti si devono i maggiori interventi che trasformarono nuovamente la struttura del palazzo ed i suoi giardini. Il modello che adottato fu quello della Malmaison, la residenza privata di Napoleone e Josephine vicino a Parigi, una dimora caratterizza per l'armoniosa fusione tra la sobrietà del classicismo e la raffinata eleganza del periodo imperiale, inoltre fece parzialmente ridisegnare il Parco secondo la moda dell’epoca con Giardino all’inglese: un caso raro a quel tempo in Italia. Dopo la caduta di Napoleone, Elisa dovette lasciare il suo regno nel 1814, e la Villa Reale passò ai Borboni che ne fecero la loro residenza estiva, diventando protagonista di splendide feste da ballo, con ospiti illustri tra principi e sovrani. Arrivato il declino dei Borboni nel 1861 la villa fu abbandonata al suo triste destino, i beni furono confiscati e messi all’asta e molti alberi secolari del Parco abbattuti per produrre legname, fino all’arrivo nel 1923 del Conte e la Contessa Pecci-Blunt che acquistarono la villa lucchese e l’anno successivo commissionarono a Jacques Greber (1882-1962) architetto, urbanista e paesaggista francese, il restauro del Parco e dei giardini, con l’intento di unire tradizione e innovazione. Vennero creati boschi, ruscelli, elementi bucolici che andarono a completare e arricchire il quadro romantico dei giardini ma soprattutto costruì il lago elemento tutt’ora molto importante all’interno dell’ecosistema del parco. Dal 2015 è di proprietà di Henric e Marina Grönberg, un imprenditore e una designer svedesi, che hanno acquistato una proprietà molto trascurata e in disuso con l'obiettivo di restaurare e preservarne il patrimonio storico-artistico e di aprirla al pubblico. Il loro lavoro duro lavoro di restauro ha permesso di recuperare l'aspetto originale della villa e il risanamento del parco, il tutto messo a dura prova da una terribile tempesta di vento avvenuta pochi mesi dopo l’inizio dei lavori che ha abbattuto molti alberi secolari. Oggi il risultato dei loro sforzi si vede e la villa col suo parco merita sicuramente una visita. La facciata della Villa Reale Presenti nel parco nella zona del lago si trovano due esemplari di salici piangenti, posizionati quasi fossero due quinte alla lontana villa, che in questa stagione si tingono di quel verde chiaro delicato per via delle nuove foglioline. Il salice piangente (Salix babylonica) è un albero originario della Cina e presente in diverse parti del mondo. Presente da sempre nei parchi e nei giardini, spesso viene piantato vicino ai corsi d'acqua perché le sue radici sono in grado di trattenere il suolo e prevenire l'erosione. Il nome "piangente" deriva dalla caratteristica dei suoi rami sottili e flessibili che possono pendere fino a toccare il terreno dando l'impressione che l'albero stia effettivamente piangendo oppure come suggeriva Lewis Carroll in Alice nel Paese delle Meraviglie "Era un prato di erba alta e di fiori, con un corso d'acqua che scorreva vicino, e su cui pendeva un grande salice piangente che sembrava abbassarsi per ascoltare." Due esemplari di Salice piangente (Salix babylonica) GALLERY Fotografie ©CRISTINA ARCHINTO Info: Sito ufficiale Altri GIARDINI e PARCHI Giardino di Villandry Giardini di Villandry Giardini Botanici di Villa Taranto Giardini Botanici di Villa Taranto I giardini di Villa Melzi I giardini di Villa Melzi Parco giardini di Sicurtà Parco giardini di Sicurtà Gairdino di Villa Lante Villa Lante parco del Flauto Magico Parco Flauto Magico Bomarzo Parco Villa la Grange
- Diversi punti di vista
Cinque Terre Diversi punti di vista Le passeggiate nei sentieri tra un borgo e l'altro nelle Cinque Terre sono una successione di alti e bassi, di oliveti, prati fioriti, di muretti a secco, di sentieri a strapiombo e di affacci mozzafiato su tutta la costa. “D’un teatro il cui proscenio s’apre sul vuoto, sulla striscia di mare alta contro il cielo attraversato dai venti e dalle nuvole”, così descriveva le Cinque Terre Italo Calvino. Passeggiare fotografando non è sempre facile, ci si distrae e si finisce per fotografare sempre solo la vista da un buon punto. Invece è importanza raccontare anche il “viaggio” e per farlo bisogna ricordarsi di guardare in tutte le direzioni non solo quella di marcia. Per raccontare un paesaggio bisogna imparare a guardare da più punti di vista, magari anche dietro. Click here Click here Click here Click here Click here Click here Click here Click here Click here TUTTI I CONSIGLI
- Giardini Botanici di Villa Taranto| terrimago
PIEMONTE I GIARDINI BOTANICI DI VILLA TARANTO Passeggiando tra l’estetica e la botanica La fontana dei putti Fotografie Cristina Archinto Testo Carla De Agostini N el 1930 il capitano di origine scozzese Neil Boyd Watson McEacharn, spesso in Italia, legge un annuncio sul Times e scopre che la proprietà della Contessa di Sant’Elia a Verbania è in vendita. Intrigato va subito a vederla, da più di due anni è alla ricerca di terreni per la realizzazione di un suo grande giardino. Piacevolmente colpito la compra, e l’anno seguente si stabilisce nella villa sul lago Maggiore. Per prima cosa le cambia il nome: da La Crocetta a Villa Taranto, in onore di un suo antenato nominato duca di Taranto da Napoleone Bonaparte e poi inizia un duro lavoro di ristrutturazione del giardino al fine di creare dei microclimi diversificati ma al tempo stesso paesaggisticamente armoniosi e originali. I giardini terrazzati I lavori iniziano sotto la guida del giardiniere Henry Cocker e il risultato si contraddistinguerà per le sfumature cromatiche, gli specchi d’acqua, le terrazze, le statue, che intrecciano parti prevalentemente all’inglese con ispirazioni all’italiana. In poche settimane il parco viene liberato di circa duemila alberi infestanti, come bambù e robinie; viene lasciato solo un castagno piantato nel XVIII secolo a testimonianza della nascita del parco, poche conifere, qualche magnolia e due antiche qualità di camelia. Dopo inizia il lavoro di sbancamento del terreno per creare le le terrazze coi giochi d’acqua. Vengono acquistati altri lotti di terreno vicini, fino ad arrivare a 16 ettari, e fatti costruire muri a secco e ponticelli con pietra locale. Il precedente giardino all’italiana della Contessa è sostituito da un ampio prato il cui verde brillante è dato tutt’ora dall’utilizzo di una graminacea perenne, l’Agrostis stolonifera , scelta per la sua capacità di impedire alle erbe infestanti di crescere. Ai margini del prato si sceglie di piantare aiuole con fiori sgargianti che alternano stagionalmente diverse fioriture e alberi come il ciliegio giapponese, le grandi magnolie o le azalee. La zona delle succulenti I giardini terrazzati Oggi Villa Taranto è una vera e propria galleria d’arte botanica, con migliaia di specie di piante e fiori provenienti da ogni luogo: le 8.500 specie censite dallo stesso McEacharn nel 1963 oggi sono quasi 20.000. Eucalipti, azalee, rododendri, magnolie, camelie, dalie, tulipani, fiori di loto, eriche, ortensie, numerose piante tropicali ed esemplari anche rari sono distribuiti in zone tematiche quali il Viale delle Conifere, la Valletta con ginestre arboree e aceri, il Giardino all’Italiana, il Giardino delle Eriche, il Labirinto delle Dalie, le serre delle piante tropicali dove si coltivano la Victoria Cruziana e Amazonica, arrivate alla Villa nel 1956 dall’orto botanico di Stoccolma. Le piante del Capitano provengono da ogni parte del mondo, in modo particolare dai ricchi vivai inglesi, dai giardini reali di Kew, di Edimburgo e della Royal Horticultural Society. Ma anche da Francia, Germania, Spagna, Europa Orientale, Giappone, Sud Africa, Stati Uniti e Australia. A cui si aggiungono floricoltori italiani, come la Contessa Senni di Roma, fondatrice della società italiana “Amici dei fiori”, che gli regala numerose varietà di iris e il principe Borromeo che nel 1949 dona alla Villa due rare piante di Metasequoia glyptostroboides. La felce arborea Dicksonia antarctica Passeggiando per Villa Taranto non si può fare a meno dal rimanere incantatati da piante mai viste prima, come la bellissima Pterostyrax hispidus, conosciuta comunemente come l’albero delle epaulettes, poiché i fiori ricordano le spalline che ornavano i vestiti dei militari, i cui bellissimi fiori a grappolo, ondeggiando nella brezza, attirano moltissimi uccelli ed emanano un delicato profumo. O come l’Emmenopterys henryi dai fiori bianchi, originario delle aree temperate della Cina centrale e meridionale e del Vietnam, della famiglia delle Rubiaceae , un raro albero che può arrivare anche a mille anni. Inoltre nella zona delle felci si possono ammirare le Dicksonia antarctica, felci arboree originarie dell'Australia orientale, Tasmania e Nuova Zelanda che ricordano delle ballerine. Passeggiare per il giardino di Villa Taranto è qualcosa che veramente lascia il segno e ti porta attraverso forme, fragranze in giro per il mondo in un contesto sempre inaspettato. Pterostyrax hispidus LA FIORITURA DEI RODODENTRI I fiori di rododendro sono famosi per la loro colorazione vivace, apprezzati fin dall’antica Grecia, dove erano conosciuti come “albero delle rose", da rodon , rosa e dendron , albero, possono essere piatti, a campana o ad imbuto e in alcune varietà, possono essere leggermente profumati. Molto affascinante è la loro fioritura: da ogni gemma vengono prodotti più fiori, in genere sei o sette, ognuno dei quali è composto da cinque petali e da l’antera, che contiene il polline. Questo raggruppamento è tecnicamente un corimbo, ossia un mazzo di boccioli regolare alla fine del ramo. Il termine deriva dal latino corymbus , “infiorescenza a grappolo”, preso in prestito dal greco kórymbos , “parte più alta, cima”. Questo fenomeno permette ai fiori sbocciati di essere tutti alla stessa altezza come ad esempio il sambuco. Il rododendro fa parte della famiglia delle Ericaceae , come le azalee, ed è una pianta originaria dall’Oriente che ama il fresco e l’umido. Le notizie più antiche sull'esistenza del rododendro ci portano indietro al 400 a.C., tra i soldati di Senofonte che, di ritorno dalla Babilonia, accampati tra le colline dell'Armenia, finirono quasi avvelenati dal miele fatto con il nettare della specie selvatica asiatica. La prima specie spontanea poi coltiva è la Rhododendron hirsutum, anche conosciuta come “rosa alpina” di cui si hanno notizie già dal 1500. GALLERY Foto ©CRISTINA ARCHINTO LINK Sito ufficiale Altri GIARDINI e PARCHI I giardini di Villa Melzi I giardini di Villa Melzi Parco giardini di Sicurtà Parco giardini di Sicurtà Gairdino di Villa Lante Villa Lante parco del Flauto Magico Parco Flauto Magico Bomarzo Parco Villa la Grange Labirinto della Masone Giardino di Kenroku-en
- Orto Botanico di Madrid | terrimago
SPAGNA ORTO BOTANICO DI MADRID Alla Scoperta di un Nuovo Mondo Fotografie Cristina Archinto Testo Carla De Agostini e Alessandra Valentinelli N el centro di Madrid esiste un luogo appartato dove è ancora possibile godersi la natura e la calma, all’ombra di grandi alberi e lontano dal caos urbano: il Real Jardín Botánico de Madrid in Plaza de Murillo, a due passi dal Museo del Prado. Ricco di angoli suggestivi che coprono più di due secoli di storia, l’Orto botanico è un'enciclopedia vivente aperta a chiunque voglia scoprire i suoi tesori vegetali, con una collezione di oltre 6.000 specie, la maggior parte sono di origine mediterranea (Europa meridionale e Nord Africa) e di altre aree con un clima simile, come la California, l’Argentina, il Cile, il Sud Africa e l’Australia meridionale. Il giardino è da sempre un punto di riferimento per la ricerca e la conoscenza della botanica, e sotto l’egida del Consejo Superior de Investigaciones Científicas, il Consiglio Superiore delle Ricerche Scientifiche spagnolo, nel 1947 è stato dichiarato Monumento Nazionale. L’Orto è stato inaugurato nel 1755 e inizialmente posto sulle rive del fiume Manzanares per ordine di Fernando VI, appassionato di botanica. Poi nel 1781 Carlos III lo ha spostato nel Paseo del Prado dove, su progetto dell’architetto Francisco Sabatin e Juan de Villanueva cui si devono anche il Museo del Prado e l'Osservatorio Astronomico, il Real Jardín è stato sistemato in diverse terrazze ispirandosi ai quarti padovani : sulla pianta ortogonale dell’Orto Sabatin e Villanueva hanno posto agli angoli fontane circolari, quindi costruito un padiglione per la serra, ora Villanueva Pavilion, l’Erbario, la Biblioteca e l’Aula di Botanica, oltre alla Porta Reale, una volta l’entrata principale, di stile classico con colonne doriche e frontone. Fin dalla sua nascita, il Real Jardín Botánico è stato un luogo privilegiato di ricerca e di insegnamento, presenta infatti un patrimonio culturale immenso, frutto di spedizioni scientifiche effettuate nel corso dei secoli XVIII e XIX, conservato nell’Erbario, nella Biblioteca e nell’Archivio. Carlo III di Borbone nel 1755 impone che il Real Jardín Botánico sia il luogo dove far convergere tutti i materiali delle spedizioni scientifiche da lui promosse, in dieci anni se ne contano ben quattro: per il Cile e il Viceregno del Perù nel 1777, in Colombia e Nuova Granada nel 1783, per la Nuova Spagna di Messico e Guatemala nel 1787, le coste e isole del Pacifico nel 1789. Il Giardino diventa meta finale di una rete di esperti, tecnici e ricercatori che portano a Madrid disegni, erbari, semi, e talora piante. Tra le ultime spedizione emerge quella di Alessandro Malaspina, capitano della Marina spagnola, che nel 1789 salpa da Cadice per Montevideo, toccando Cile, Perù e Panama, si spinge fino a Vancouver, Manila e Macao. Rientrato nel 1794 in Spagna, senza la difesa dell’ormai defunto Carlo III, finisce imprigionato per le sue idee di fratellanza tra nazioni, e quindi esiliato. La filosofia di Malaspina travalica infatti i conflitti politici e militari, promuove uno scambio di strumenti di misura e navigazione, libri, osservazioni e conoscenze naturalistiche, per questo è solito partire con un equipaggio misto, tra cui tedeschi, francesi e italiani, accompagnati dalla miglior strumentazione inglese e boema. Convinto che non ci siano “terre da scoprire ma un mondo da conoscere”, i cartografi che con lui mappano coste e isole le condividono poi con gli uffici idrografici di Parigi e Londra. I suoi naturalisti, valicando le Ande, inventariano fossili e specie con analisi dirette che poi perfezioneranno il sistema linneano. Ad oggi le piante esposte sono organizzate su quattro terrazze che sfruttano le irregolarità del terreno. Agli angoli dei quarti ci sono alberi alti e svettanti che servono a rinfrescare e a ripartire i gruppi vegetali. La prima terrazza è la più bassa e la più spaziosa di tutte, la Terraza de los Cuadros dove spicca la raccolta di roseti ornamentali, di piante medicinali antiche e aromatiche, che impregnano l’aria di profumi inattesi assieme agli alberi da frutto. Qui le prime piante a fiorire a gennaio sono l’elleboro, seguito da narcisi e crochi. Nei mesi di aprile e maggio si possono invece ammirare gigli, peonie e rose, e nei mesi estivi più caldi compaiono le bellissime dalie che colorano tutto il Giardino. La Terraza de los Cuadros è una passerella di fioriture, tra le più piacevoli per i profumi e la vista, dove si è sempre accompagnati da cinguettii di specie variopinte che a seconda delle stagioni trovano ristoro tra le loro chiome preferite. La seconda terrazza, più piccola della precedente, accoglie le collezioni tassonomiche delle piante, e per questo si chiama Terraza de las Escuelas . La vegetazione è disposta filogeneticamente per famiglie, in modo da poter ripercorrere l’ordine delle piante dalla più primitiva alla più recente. C’è poi il Plano de la Flor, in stile romantico, che ospita una grande varietà di alberi e arbusti piantati in ordine sparso. Il terrazzo è delimitato da un pergolato in ferro battuto, realizzato nel 1786, con diverse varietà di viti, alcune di notevole età. Sul lato orientale si trova il Padiglione Villanueva , costruito nel 1781 come serra, e attualmente utilizzato come galleria per mostre temporanee. Centro importante per avvicinare il pubblico alla scienza e alla biodiversità attraverso linguaggi creativi e alternativi di artisti sempre diversi. Molte mostre cercano ispirazione negli stessi Archivi ed Erbari dell’Orto, con l’obbiettivo di creare una cultura vegetale attraverso la diffusione di un patrimonio scientifico didattico ampio come quello del luogo. Infine, c’è la Terraza de los Bonsáis che ospita una collezione di bonsai donata nel 1996 dall’ex primo ministro Felipe González, composta da specie asiatiche ed europee, principalmente della flora spagnola, e col tempo ampliata. Sul lato nord si trova la serra Graells, conosciuta anche come Estufa de las Palmas , una serra in ferro battuto e vetro, costruita nel 1856 sotto la direzione di Mariano de la Paz Graells, l’allora direttore. In questa sala sono esposte principalmente palme, felci arboree ed esemplari di banane del genere Musa e per le piante desertiche e carnivori c'è la serra Santiago Catroviejo Bolibar. IN EVIDENZA PEONIE TRA LEGGENDA E REALTÀ Le peonie, o Paeonia , sono da sempre apprezzate per i fiori stupendi che riempiono le bordure con sfumature di bianco, rosa e rosso, da tarda primavera a metà estate. Fin dall’antichità la Peonia è nota per le sue virtù miracolose: il nome deriva dal greco paionía , ossia “pianta che risana”, in riferimento alle radici con importanti proprietà curative, calmanti, antispasmodiche, sedative e anche antidolorifiche, etimologia che condivide non a caso con Paeon , Peone, il Dio greco della Medicina. Una nota leggenda greca vuole che sia stato Zeus a trasformare Paeon in un fiore bellissimo e immortale, per salvarlo dall’ira e dall’invidia del maestro che si era visto superare nella cura di Ade. La peonia compete da millenni con la rosa per il titolo di più bella del reame, e in Cina è ufficialmente vincitrice con l’appellativo di “Regina dei Fiori”. Si racconta che più di 2000 anni fa l’imperatrice Wu Tutian, molto bella ma anche molto dispotica, un mattino d’inverno ordinò a tutti i fiori del suo regno di sbocciare. Temendone l’ira i fiori si accordano per accontentarla: tutti tranne uno, la peonia. Furente per quell’orgoglioso rifiuto, l’imperatrice diede ordine che ogni esemplare venisse sradicato e esiliato su alte montagne coperte di neve. La pianta sopportò il gelo e in primavera si mise a fiorire magnificamente. A quel punto Wu Tutian ne riconobbe la forza e ne revocò l’esilio, donandole il titolo regale. La peonia a cui fa riferimento l’antica leggenda cinese è quella arbustiva, che in natura è molto rara, e culturalmente per i cinesi la rarità coincide con la preziosità. Per questo le viene attribuita un’origine soprannaturale: nella Riserva naturale della montagna di Huashan, “Montagna dei Fiori”, da hua fiore e shan montagna, nella regione cinese dello Shaanxi, si trovano padiglioni raffiguranti la nascita della peonia come frutto dell’unione tra un contadino e una dea che gliene ne donò una come pegno d’amore, prima di far ritorno alla volta celeste. Nell’antichità era privilegio esclusivo della famiglia imperiale e dei nobili mandarini poterla coltivare nei propri giardini, mentre oggi la sua aristocratica bellezza è alla portata di tutti. Nei giardini europei è arrivata nel 1789, dopo un lungo tragitto su una nave inglese solo cinque piante riuscirono per la prima volta quell’anno a radicare nell’orto di Kew Garden. Link Centro Botanico Moutan GALLERY Info: Sito ufficiale Foto ©CRISTINA ARCHINTO Altri giardini botanici e vivai Orto botanico di Amsterdam Orto botanico di Napoli Orto Botanico di Zurigo e la Serra Malgascia Giardino Botanico Nuova Gussonea Orto Botanico di Catania Orto Botanico di Ginevra Centro Botanico Moutan Orto Botanico di Palermo
- Orto Botanico di Napoli | terrimago
CAMPANIA ORTO BOTANICO DI NAPOLI di CARLA DE AGOSTINI Il 18 maggio 1809 a Napoli aprì su via Foria “un Real Giardino di piante per la istruzione del pubblico e per moltiplicarvi le spezie utili alla salute, alla agricoltura e all’industria” . Il decreto con il quale Giuseppe Bonaparte lo istituì nel 1807 esprime concisamente le finalità didattiche, mediche, economiche e produttive del nuovo luogo. Le basi su cui si fonda l’orto partenopeo lo distingueranno fin da subito per la molteplicità di funzioni e per il suo patrimonio vegetale diversificato. Oggi è gestito dall’Università Federico II ed è il secondo in Italia, dopo quello di Padova, per gruppi vegetali esotici: venticinquemila piante di nove mila specie riunite. Dopo essere stato devastato dalle truppe alleate durante la Seconda guerra mondiale, l’orto rinacque nel 1948 con la costruzione di nuove serre, l’ammodernamento della rete idrica e l’incremento delle collezioni di Cycadales , succulente e felci. Nel periodo della sua fondazione la città partenopea era dominata dai francesi, e divenne fin da subito tra le più prestigiose istituzioni scientifiche dell’Italia meridionale. Il primo direttore fu il botanico italiano Michele Tenore e fu lui, in quasi cinquant’anni di carriera dal 1808 al 1860, ad organizzare in maniera scientifica l’orto e a promuoverne l’innovativa concezione botanica presso le principali istituzioni botaniche europee. A l’importanza iniziale della ricerca ben presto si affiancò anche quella sociale con la scelta dell’architetto Vincenzo Paoletti di valorizzare il paesaggio creando per i visitatori un “passeggio pubblico” con grandi viali alberati e piacevoli percorsi nel verde . Scelta arrivata fino ai nostri giorni con l’accesso libero all’orto per dar modo a tutti, dai bimbi agli anziani, di usufruire di un luogo di così grande interesse tutto l’anno. L’orto oggi vanta un Filiceto, un Palmeto, una zona Deserto e la raccolta di Cycadales tutti di notevole importanza. Nel Filiceto, situato in un avvallamento, sono riprodotte le condizioni di ombra e di umidità necessarie per la coltivazione delle felci. Dal latino fĭlix , il Filiceto è circondato da una cintura di alberi che protegge l’area dall’eccessiva insolazione, mentre rivoli e un laghetto artificiale, insieme ad abbondanti e frequenti annaffiature, mantengono il microclima ideale. Da qui, dove le riserve d’acqua abbondano, parte un itinerario ecologico che fa comprendere l’importanza dell’acqua nella biodiversità, che si conclude nel Deserto, dove la risorsa idrica invece scarseggia. Nella collezione di piante succulente del Deserto, sistemate su terriccio sabbioso per impedire i ristagni e con alcuni esemplari coperti d’inverno, ci sono dei notevoli esemplari tra cui delle mammilaria , notocactus , delle Wilcoxia Viperina , Opuntia e delle Agave americane . Il mondo primitivo delle Cycadales detiene il primato di piante a seme più antiche oggi viventi, e l’Orto Botanico ne ha una delle collezioni più importanti al mondo, sia per numero di specie e generi, sia per numero di esemplari, tanto che alcuni del genere Dion sono coltivati unicamente a Napoli. Qui spicca anche la Cycas revoluta donata nel 1813 da Maria Carolina Bonaparte, consorte del Re di Napoli Gioacchino Murat, in segno di gratitudine per la Terrazza Carolina, una struttura dell’orto oggi scomparsa. Attualmente, la pianta, che ha quasi 200 anni, ha raggiunto l’altezza ragguardevole di circa 5 metri. La Cycas revoluta è l’unica specie della famiglia delle Cycadaceae che ha avuto un grande successo come pianta ornamentale; è ampiamente diffusa nei parchi e nei giardini delle regioni a clima mite. Il nome comune Cycas non è un diminutivo ma è collegato alla somiglianza con le palme: deriva infatti da koykas , un vocabolo di origine greca adoperato proprio per indicare una palma non ben identificata. Inoltre l’orto comprende anche un agrumeto, lo Chalet , area concepita per i non vedenti, e la Serra Merola che ripropone le foreste tropicali pluviali e l’ecosistema costiero delle mangrovie messicane. L’area di più recente istituzione è dedicata alle piante della Bibbia, che ospita alcune tra le specie menzionate negli episodi più significativi del Vecchio e del Nuovo Testamento, come la mirra o l’ulivo. L’area riservata alle Magnoliophyta è ancora in allestimento, mostrerà l’evoluzione delle piante a fiore, in linea con le più recenti scoperte della Botanica Sistematica. Una visita all’orto partenopeo rappresenta non solo l’opportunità di conoscere e approfondire il mondo della botanica ma anche un’occasione unica per potersi godere una Napoli inaspettatamente calma, unica e originale a pochi passi dalla trafficata Via Foria. GALLERY Info: Sito ufficiale Magnolia Foto ©CRISTINA ARCHINTO Altri giardini botanici e vivai Orto Botanico di Zurigo e la Serra Malgascia Giardino Botanico Nuova Gussonea Orto Botanico di Catania Orto Botanico di Ginevra Centro Botanico Moutan Orto Botanico di Palermo Roseto di Roma Chicago Batanical Garden
- Il Giardino dei Tarocchi | Terrimago
TOSCANA IL GIARDINO DEI TAROCCHI Le maestose opere di Niki de Saint Phalle immerse nella macchia mediterranea Fotografie e testo ©Cristina Archinto "La Papessa" Era il 1974 quando Niki de Saint Phalle, costretta ad un periodo di convalescenza a St. Moritz, incontra la collezionista d’arte Marella Agnelli nonché moglie di Gianni Agnelli. Le due donne si piacciono subito e l’artista le racconta il progetto che già da un po’ le frulla in testa. Una volta tornate in Italia Marella, insieme ai fratelli Carlo e Nicola Caracciolo, decidono di metterle a disposizione un lotto del loro terreno a Garavicchio, in Toscana, per la realizzazione de Il giardino dei Tarocchi, un perfetto connubio tra arte, natura e spiritualità. Un luogo dove sculture monumentali dalle fattezze rotonde e dai colori sgargianti, uniche nel loro genere, ti risucchiano in un mondo fantastico e da sogni psichedelici, pur mantenendo una completa armonia con un paesaggio morbido e tipicamente mediterraneo. Il cortile del "L'imperatore" Niki de Saint Phalle (1930-2002) è stata una celebre artista francese di origine statunitense, nota per la sua versatilità artistica attraverso molteplici media, tra cui scultura, pittura, installazione e performance. Nata a Neuilly-sur-Seine, in Francia, da genitori franco-americani, Niki ha trascorso parte della sua giovinezza negli Stati Uniti e la sua carriera artistica inizia negli anni '50, con dei dipinti influenzati dal movimento artistico del Nouveau Réalisme. Tuttavia, nel tempo diventata particolarmente famosa per le sue opere scultoree monumentali. La pratica artistica di Saint Phalle in generale è intrisa di simbolismo, femminismo e un approccio audace e provocatorio. Molte delle sue opere scultoree rappresentano figure femminili vigorose e assertive, spesso dipinte con colori vivaci e audaci. Saint Phalle ha utilizzato l'arte come strumento di espressione personale e come mezzo per affrontare temi sociali, come la liberazione delle donne e la denuncia della violenza di genere. L'interno de "L'imperatrice" Resta di fatto che uno dei suoi progetti più rappresentativi è sicuramente Il giardino dei Tarocchi, un complesso scultoreo, dove vengono rappresentati i diversi Arcani dei tarocchi, un lavoro di amore e dedizione, realizzato con l’aiuto di da Jean Tinguely e Doc Winsen, dove le imponenti e maestose statue sembrano prendere vita. Le figure mitologiche e mistiche scolpite in pietra e metallo, dominano il paesaggio con la loro presenza enigmatica. Ogni carta rappresenta una personalità unica e complessa, trasmettendo un senso di antica saggezza e potere. A incominciare dal “Il Mago”, come lo chiama l’artista “Il grande giocoliere. Il Dio che ha creato la meravigliosa farsa di questo mondo nel quale viviamo” e la “Papessa, la grande sacerdotessa del potere femminile”. Queste due opere sono state costruite nel 1980 insieme alla più iconica tra le architetture-sculture di questo luogo l’”Imperatrice-Sfinge”. Posta in una posizione dominante rispetto al resto del parco, questa figura imponente e opulenta richiama alla memoria le Nanas, figure femminili rotonde e gioiose che incarnano un'immagine positiva e potente della donna, nate a partire dagli anni Sessanta. Come Mondrian aveva trasformato il suo appartamento di Parigi in un gigantesco dipinto, Niki ha vissuto all’interno dell’Imperatrice, per tutto il tempo della costruzione del giardino. Ancora oggi gli arredi si presentano come parte integrante della enorme scultura, un variopinto appartamento in cui le forme e i colori si confondono con l'ambiente circostante la macchia mediterranea con alberi e gli arbusti resistenti alla siccità e alle alte temperature estive. "La forza" Piante come il ginepro, il lentisco, la fillirea, l'elicriso, il cisto, l'alloro, l'erica, il corbezzolo e l'alaterno sono la cornice a queste giganti opere d’arti. Sono presenti anche parecchi esemplari di olivi, che rispecchiandosi per merito delle piccole parti riflettenti in stile mosaico delle opere, si illuminano quasi fossero loro veri protagonisti.Piante come il ginepro, il lentisco, la fillirea, l'elicriso, il cisto, l'alloro, l'erica, il corbezzolo e l'alaterno sono la cornice a queste giganti opere d’arti. Sono presenti anche parecchi esemplari di olivi, che rispecchiandosi per merito delle piccole parti riflettenti in stile mosaico delle opere, si illuminano quasi fossero loro veri protagonisti. I mosaici che ricoprono le figure sono stati realizzati con la tecnica trecadis che consiste nell'applicazione di frammenti di ceramica, vetro e specchio, tagliati in modo irregolare, fissati su intonaco bianco. Lo scopo di questa tecnica è quello di riuscire a dar vita a costruzioni somiglianti a creature viventi. Ne è l’esempio “La forza” dove una tenera fanciulla domina un drago temibile verde, tenendolo legato a un guinzaglio invisibile, o “Il diavolo” dalle sue ali variopinte. "La'Imperatrice", la scala de "Il mago" e "La luna" Scoprire tutte le carte con la dicitura esatta dell’artista è molto interessante e apre le porte a nuove consapevolezze. Come del resto il pensare che l’artista ci abbia messo più di vent’anni a realizzare questo giardino, dimostra infatti quanto fosse connessa con questa sua opera enorme e l'impegno personale che vi ha investito. Anche la presenza di una squadra di persone locale, che l'artista ha formato e che continua a mantenere il giardino, testimonia la sua volontà di coinvolgere parecchio la comunità locale e di assicurarsi che il suo lavoro sia preservato e curato nel tempo. "La temperanza" Niki de Saint Phalle è considerata una figura molto influente nell'arte contemporanea e il suo lavoro continua a essere esposto in importanti musei e gallerie in tutto il mondo. La sua eredità artistica è caratterizzata dalla sua capacità di trasformare il dolore personale in opere di bellezza e gioia, ispirando generazioni di artisti e appassionati d'arte e passeggiare in questa suo giardino è un vero e proprio percorso verso l’arte in ogni sua forma, un percorso spirituale ricco di messaggi, che ti spinge a riflessioni fuori dall’ordinario, quasi al limite. GALLERY Fotografie ©CRISTINA ARCHINTO Info: Sito ufficiale Altri GIARDINI e PARCHI Villa Marlia Giardini Botanici di Villa Taranto Giardini Botanici di Villa Taranto I giardini di Villa Melzi I giardini di Villa Melzi Parco giardini di Sicurtà Parco giardini di Sicurtà Gairdino di Villa Lante Villa Lante parco del Flauto Magico Parco Flauto Magico Bomarzo
- Giardino di Ninfa | Terrimago
LAZIO NINFA Una meraviglia di giardino È grazie alla lungimiranza di Gelasio Caetani se oggi possiamo godere di un giardino all’inglese fra più belli d'Europa, nominato nel 2000, "Monumento Naturale d’Italia". Nel 1921 la famiglia Caetani restaurò alcune rovine dell’antica cittadina medioevale di Ninfa, a pochi chilometri da Cisterna di Latina. Trasformò, fra gli altri interventi, il palazzo baronale nella residenza estiva della famiglia e bonificò l'area del giardino ai piedi dei monti Lepini. Contemporaneamente Ada Wilbraham, madre di Gelasio Caetani, esperta botanica, piantò i primi cipressi, lecci, faggi, roseti e diverse specie collezionate durante i suoi lunghi viaggi all’estero. Il maggior merito però va a Marguerite Chapin, moglie di Roffredo Caetani e, in seguito, a sua figlia Lelia; dagli anni trenta, trasformarono Ninfa in uno splendido giardino all'inglese, scegliendo di valorizzarne l’aspetto naturalistico - ad eccezione delle aree in cui sono state piantate le aiuole, anche i suoli sono più o meno allo stato naturale - e assecondando lo sviluppo spontaneo della vegetazione. La felice esposizione a sud del giardino protetto dai venti dai vicini monti Lepini, percorso da numerose sorgenti carsiche e attraversato dal fiume Ninfa, ha permesso l’introduzione di nuove specie comprese alcune piante tropicali come il banano, l’avocado e la gunnera manicata del Sud America. Passeggiando tra i ruderi medievali si incontrano oltre un migliaio di specie diverse con molte rarità degne di rilievo tra pioppi, betulle, pini, cipressi, ciliegi, aceri giapponesi, viburni, cornioli, ceanothus, meli ornamentali, rose rampicanti, magnoglie, iris, bambu, camelie, caprifogli. La scelta delle piante annuali è tesa a creare una successione costante della fioritura durante tutto l’arco dell’anno e la cura del giardino è affidata esclusivamente a tecniche naturali: macerati d’ortica, calce, propoli, equiseto oltre alla presenza nel giardino di una grande quantità di uccelli insettivori. GALLERY Info: www.fondazionecaetani.org Foto ©CRISTINA ARCHINTO Altri GIARDINI e PARCHI Parco del Paterno del Toscano Villa Lante Labirinto della Masone Villa d'Este Giardino di Kenroku-en Giardino dell'impossibile Villa Pizzo Castello di Masino
- Curriculum Cristina Archinto | terrimago
Biografia Cristina Archinto nasce a Milano. Agli inizi della sua carriera si dedica alla grafica editoriale lavorando per diverse riviste, una passione che nel tempo porterà sempre avanti. Nel 1989 va a vivere a New York e studia fotografia alla Parson School. Una volta rientrata in Italia si concentra sulla fotografia d’architettura; il suo trascorso di grafica l’aiuta nell’equilibrio e nei pesi delle inquadrature. Nel 1999 nasce sua figlia Greta, questo evento le rallenta i ritmi di vita e la porta alla continua ricerca di spazi verdi. Stimolata e attirata fa di questi luoghi il suo nuovo punto focale portandola a concentrarsi sulle atmosfere di un parco, sul dettaglio di un fiore o su un vasto paesaggio. Nel 2002 si trasferisce con la famiglia a Roma per cercare nuovi scenari e una nuova luce. Lì sviluppa la professione di fotografa di giardini collaborando con molte riviste di settore, e pubblicando diversi libri. Allo stesso tempo inizia un percorso più artistico una ricerca sempre incentrata sulle emozioni che la natura ci trasmette esponendo le sue opere in diverse gallerie italiane. I suoi ultimi lavori sono concentrati sul movimento cogliendo luci e restituendo materie e trasparenze nell'equilibrio delle forme e nell'eleganza dei colori. Nel giugno del 2017 ha fondato Terrimago.com una rivista on line sul territorio e sui giardini. https://www.cristinaarchinto.com/ Libri pubblicati 2002 - WILLIAM SHAKESPEARE - PENSIERI PER UN ANNO (Lettere edizioni) “Fotografie poetiche, sensibili e diverse che ritraggono piante e paesaggi accompagnano brani scelti tratti dall’opera shakespeariana scandendo un calendario molto particolare di giorni che passano, ma anche il nostro tempo interiore, i temi della vita, della morte, delle passioni umane” 2004 - VILLA BORGHESE - IL SILENZIO DEL PARCO (Skira) “80 suggestive immagini che raccontano il parco di Villa Borgese; un racconto che si snoda tra I viali, i giochi d’acqua, le statue, i fiori, le piante, e gli angoli più sconosciuti del “più bel giardino di Roma”. “Le bellissime immagini di Cristina Archinto colgono le atmosfere incantate, gli angoli più suggestivi e il silenzio più prezioso parco quando si trasforma in un rifugio per molti.” 2006 - IL GIARDINO CHE VORREI (Electa) “Attraverso immagini uniche capaci di rendere la grazia più timida anche alle piante più umili Cristina Archinto ci accompagna in giro per varie tipologie di giardini e paesaggi.” Una fotografa, capace di cogliere il fascino sia di un paesaggio quotidiano e accessibile a tutti e sia di certe tessiture colte nel loro momento di grazia, e che ci insegna a “vederci” intorno e a come in fondo basti poco per “fare e coltivare”un bel giardino. Un libro che ci sussurra che la bellezza della natura si nasconda ovunque, anche dove meno ce l’aspettiamo” 2008- ROMA E I SUOI LUOGHI D’ACQUA (Babalibri) Guida fotografica di Roma per giovani viaggiatori 2013 - GUARDA! APPUNTI DA UN FINESTRINO (Canneto editore) Un libro incentrato sui paesaggi italiani realizzato da un treno ad alta velocità 2020 - Orti Botanici d'Europa Un viaggio tra storia scienza e cultura (Terrimago edition) link
- Retrospectrum
Retrospectrum Bob Dylan La mostra traccia il percorso di vita di Dylan nella creazione di arte visiva attraverso viaggi e geografie, sia interiori che fisiche. Bob Dylan, figura iconica il cui talento e lavoro spaziano tra mezzi e discipline, ha portato avanti per molti decenni una pratica di arte visiva: Retrospectrum è la prima mostra monografica europea che ne esplora l’ampia opera. La natura multiforme di Dylan è raccontata attraverso un’ampia gamma di opere d’arte, che vanno dai dipinti a olio, agli acrilici, agli acquerelli, ai disegni a inchiostro, pastello e carboncino, fino a una serie di sculture in ferro Leggi tutto Attraverso otto sezioni tematiche – Early Works, The Beaten Path, Mondo Scripto, Revisionist, Drawn Blank, New Orleans, Deep Focus e Ironworks – Retrospectrum offre la possibilità di ripercorrere l’esperienza vissuta da Dylan nel campo dell’arte visiva. Le opere selezionate per la mostra di Roma rappresentano un diario visivo che documenta la trasformazione delle fonti e degli stili che hanno ispirato e influenzato Dylan nel corso degli anni. Attraverso nuovi e continui incontri con ambienti e persone in continua evoluzione, il suo lavoro si evolve costantemente in modi entusiasmanti, riflettendo la sensibilità di una voce autenticamente artistica. in testata: foto © Ken Regan MAXXI Museo delle Arti del XXI secolo Roma, RM, Italia 16 dicembre 2022 / 30 aprile 2023 LINK