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- Giardini Villa Pergola| terrimago
LIGURIA I GIARDINI DI VILLA PERGOLA RACCONTI DAL MONDO Fotografie Cristina Archinto Testo Carla De Agostini Q uest’anno i Giardini di Villa della Pergola sono ufficialmente Il parco più bello d’Italia, vincendo il premio tra più di mille parchi privati, ed effettivamente è di impareggiabile bellezza: qui si alterano glicini di ogni forma e colore, fiori e alberi provenienti da ogni parte del mondo, su un panorama che sovrasta l’intero Golfo di Alassio. Una delle terrazze V illa Pergola è un raro esempio di parco anglo-mediterraneo. Nasce nella seconda metà degli anni Settanta dell’Ottocento dal gusto del Generale Montagu McMurdo e di sua moglie Lady Susan Sarah Napier, che, innamoratisi del luogo, scelgono di mantenere i terrazzamenti classici liguri del precedente podere agricolo aggiungendo palme e cipressi. Tra il 1900 e il 1903 il possedimento viene comprato da Walter Hamilton Dalrymple e nel 1922 da Daniel, figlio di Thomas Hambury, artefice dei noti Giardini Botanici Hanbury alla Mortola, poco distanti. A lui si devono le scenografiche pergole ricoperte di glicini e le molteplici cactacee esotiche, le agavi, gli aloe e gli eucalipti. Dopo un periodo di abbandono e degrado, i Giardini sono stati restaurati nel 2006 da Paolo Pejrone, insieme a Silvia Arnaud Ricci, a cui si deve la creazione della collezione botanica di glicini con 34 varietà e quella degli agapanti, oggi la più importante in Europa con quasi 500 specie diverse. La zona delle succulenti L a visita al giardino avviene accompagnati dai racconti di un’appassionata guida. Il percorso comincia con le succulente dove spicca la varietà di crestate e l’occhio è subito catturato dal “mostro”, ovvero il Trichocereus bridgesii monstruosus , la cui leggenda messicana racconta come basti anche solo guardarlo mentre si mangia qualcosa per subirne forti allucinazioni. Ci sono poi diverse agavi tra cui quella bianca e l’interessantissimo Myrtillocactus i cui frutti sono commestibili e simili ai mirtilli. La collezione di citrus C osteggiando uno dei glicini ultrasecolare più antichi si arriva al terrazzamento degli agrumi con più di 40 specie, da cui lo stesso ristorante della villa attinge per realizzare i suoi piatti. Qui ci si perde tra le forme più disparate di agrumi e aromi; accanto ai classici mandarini, aranci, limoni e cedri esistono varietà davvero particolari, dalla buccia bitorzoluta alle forme inaspettate che sembrano uscire da un libro di fiabe. Come la Mano di Buddha, Citrus medica var. sarcodactylus , un limone molto profumato e affascinante che appartiene alla famiglia dei cedri, nato da una malformazione genetica è privo di polpa e ogni spicchio si sviluppa e si definisce come unità a sé stante quasi fosse diviso dagli altri. In India è facile trovarlo ai piedi delle statue del Buddha nei templi come offerta votiva da parte dei fedeli come due mani giunte in preghiera da questo deriva il nome. C’è poi il Citrus tachibana giapponese uno dei due soli agrumi del Giappone. Inizialmente originario dalla Cina, il Tachibana subisce diverse mutazioni fino a diventare una cultivar di agrumi giapponese, geneticamente isolata dall’originario. Classificato ufficialmente come specie in via di estinzione dal Ministero dell’Ambiente di Tokyo, il Tachibana si trova nella singolare posizione di essere onnipresente nell’iconografia giapponese ma al contempo sconosciuto dai giapponesi contemporanei per la sua rarità. La maggior parte delle persone lo incontra infatti quotidianamente, inciso sulle monete da 500 yen ma non l’ha mai visto dal vero. Storicamente fiore sacro e rispettato, nel periodo Heian (794-1185), le donne aristocratiche si profumavano infilando sacchetti di fiori di Tachibana nelle maniche del kimono o infilando i frutti in cordicelle per indossarli come braccialetti. Il viale dei cipressi L a passeggiata continua sul viale verde di agapanti che porta alla zona più romantica del giardino dove, all’ombra ristoratrice di palme e strelitzie giganti dai fiori bianchi, si trova la fontana delle ninfee, circondata da putti ricoperti da Ficus repens disegnati da Sir Dalrymple. Lungo il terrazzamento più in alto inizia il viale dei cipressi monumentali che incorniciano la vista panoramica, fino a raggiungere la macchia della cascatella dove si trovano un laghetto roccioso e la preistorica Wollemia nobilis , una conifera rarissima riscoperta in Australia nel 1994 dalla guardia forestale David Noble, ad oggi esitono pochissimi esemplari, principalmente in orti botanici. Putti ricoperti di ficus repens Pergolato di glicine bianco e blu Il boschetto alterna mirti comuni e alcuni mirti secolari portati dalla Sicilia, e approdati scenograficamente in elicottero sotto la direzione di Paolo Pejrone stesso. Alla fine di questo itinerario si incontrano le delicate "bluebell" australiane, utilizzate in fitoterapia come rimedio “per aprire le porte del cuore, a quanti vivono con sofferenza la propria sfera sentimentale”. Sotto il terrazzamento del villino si trovano infine le vasche di loto. A ricordare i legami con l’oriente degli Hanbury c’è la statua di un dragone, simile a quella dei Giardini Botanici di Hanbury, incarnazione dello spirito elementare dell’acqua, a protezione della pioggia e a tutela dalla siccità. Ai lati del villino, a ridosso dei muri, sono stati piantati glicini ibridi a doppia fioritura, Violacea plena , che arricchiscono il pergolato di un color viola intenso con sfumature porpora. Il percorso si conclude con una scala di marmo circondata da grandi foglie di Farfugium japinicum e un pergolato di glicine in fiore a far ombra, con scorci mozzafiato sul golfo. GLICINE I tedeschi la chiamano blauregen “pioggia blu”, i cinesi zi teng “vite blu” e in italiano, invece, il suo nome deriva dal greco glikis che significa “dolce”, dovuto alla profumazione dei suoi fiori. Il suo attuale nome scientifico è merito del Capitano Welbank che nel 1816, non sapendo che Carl Linneo nel 1724 l’aveva già classificata come Glycine , porta la pianta in Europa battezzandola Wistaria in onore del Professore Caspar Wistar, ma durante la sua diffusione nei paesi anglofoni viene storpiato diventando Wisteria . Le sue proprietà di rapido accrescimento e la tendenza ad espandersi velocemente hanno fatto sì che nella Sierra Madre in California ci sia un esemplare da Guinness dei Primati: al massimo della sua fioritura, il glicine conta fino a 1.5 milioni di boccioli, per un peso totale di 250 tonnellate! La crescita a spirale sia in senso orario o che antiorario dei fiori in grappoli viene associata alla coscienza umana che da un fulcro vitale interiore si espande verso l’esterno nel tentativo di influenzare il mondo intorno a sé. GALLERY Foto ©CRISTINA ARCHINTO LINK Sito ufficiale Altri GIARDINI e PARCHI I giardini di Villa Melzi I giardini di Villa Melzi Parco giardini di Sicurtà Parco giardini di Sicurtà Gairdino di Villa Lante Villa Lante parco del Flauto Magico Parco Flauto Magico Bomarzo Parco Villa la Grange Labirinto della Masone Giardino di Kenroku-en
- Orto Botanico Siena | terrimago
TOSCANA ORTO BOTANICO DI SIENA L’Orto Botanico è situato dal 1856 in una delle valli verdi (2,50 ettari) all’interno delle antiche mura di Siena e conserva oltre 2000 specie vegetali, dalle tipiche mediterranee dell’ambiente toscano, alle più originali provenienti da paesi esotici. La struttura visibile oggi, organizzata nello stile dei giardini ottocenteschi italiani, è un luogo suggestivo, con numerose testimonianze che riconducono la sua storia al XVI secolo. La restante ampia porzione dell’Orto che si apre nella vallata, conserva l’aspetto di podere intercalato da aree rocciose e umide per la presentazione di particolari ambienti toscani. L’Orto Botanico presenta ambienti diversi che ospitano ovviamente determinate specie botaniche: la Scuola: terrazze artificiali create all’inizio del Novecento per ospitare le piante officinali; il parco, suddiviso in varie aiuole di caratteristica impronta ottocentesca, che ospitano molteplici specie; gli ambienti acquatici , riprodotti nell’Orto in varie modalità: vasche in muratura, laghetti, stagni, ruscelli, ecc., in modo da poter visualizzare l’enorme varietà delle specie acquatiche; il giardino roccioso, che ospita specie spontanee della Toscana centro-meridionale, presenti in aree a forte pendenza, in zone intensamente pascolate e in aree boschive degradate, sottoposte a tagli irrazionali e/o percorse da incendi; la scarpata umida, rocciosa con stillicidio, è stata allestita negli anni 2000 per esporre piante indigene di ambienti umidi e freschi; il podere: esempio di valle agricola del territorio toscano all’interno della cinta muraria senese. Index Seminum 2020 Disseminate nelle aiuole del Parco vivono le orchidee spontanee. Sono infine presenti 4 serre: Antica serra o serra tropicale, Tepidario, Limonaia, Serra sperimentale. GALLERY foto ©CRISTINA ARCHINTO Info: Sistema museale Universitario Orto Botanico Italia Video Altri giardini botanici e vivai Orto Botanico di Ginevra Centro Botanico Moutan Orto Botanico di Palermo Roseto di Roma Chicago Batanical Garden Giardino Esotico Pallanca Parco Botanico Villa Rocca Giardino Botanico di Hanbury
- Castello di Masino | Terrimago
PIEMONTE Castello di Masino Da oltre mille anni, il Castello di Masino domina la vasta piana del Canavese da un’altura antistante la suggestiva barriera morenica della Serra di Ivrea, paesaggio intatto e infinito. Questa posizione strategica costò al maniero frequenti contese, ma il nobile casato dei Valperga, che tradizione vuole discendente da Arduino, noto nella leggenda come primo re d’Italia, ne mantenne il possesso fin dalle origini, documentate già nel 1070. Nel corso dei secoli l’illustre famiglia convertì il Castello in residenza aristocratica, poi in elegante dimora di villeggiatura. A raccontare questo glorioso passato sono i saloni affrescati e arredati con sfarzo, le camere per gli ambasciatori, gli appartamenti privati, i salotti, le terrazze panoramiche: un raffinato sfoggio di cultura sei e settecentesca che trovò espressione anche negli ambienti dedicati alla celebrazione del sapere, come la preziosa biblioteca che conserva più di 25mila volumi antichi. Intorno, un monumentale parco romantico con uno dei più grandi labirinti d’Italia, un maestoso viale alberato, ampie radure e angoli scenografici che a primavera si inondano di eccezionali fioriture. Andare a visitare Masino regala ogni volta un’esperienza diversa: dalla visita al Castello, secondo formule diverse, a una giornata all’aperto per vivere il Parco oppure, ancora, uno fra i numerosi eventi organizzati lungo il corso dell’anno, magari godendo della caffetteria panoramica. Anche in compagnia dei bambini, che qui possono divertirsi con la caccia al tesoro o visitare il Museo delle Carrozze, la Torre dei Venti, il Giardino dei Folletti e ancora altri ambienti pensati per loro. Links Castello di Masino del Fai Foto ©CRISTINA ARCHINTO Altri GIARDINI e PARCHI Parco del Paterno del Toscano Villa Lante Labirinto della Masone Villa d'Este Giardino di Kenroku-en Giardino di Ninfa Villa Pizzo Parchi di Parigi
- Orto botanico di Meise | Terrimago
Bruxelles L'Orto Bota nico di Meise Fotografie e testo di Cristina Archinto Una parte del bosco con un tappeto di Allium ursinum All’Orto Botanico di Meise, anche conosciuto come Jardin botanique Meise che si trova a circa 10 km a nord-ovest di Bruxelles, in Belgio, si cammina, si cammina e si cammina ancora! Attualmente è l’orto botanico più vasto del mondo e a fine giornata tutti quei chilometri si sentono ma ne sono valsi la pena. La sua storia è piuttosto antica, inizia nel 1796 quando il governo austriaco decise di creare un giardino botanico presso il castello di Bouchout, a Meise. L'obiettivo principale del giardino era quello di coltivare piante medicinali e alimentari. Nel corso dei secoli successivi, il giardino botanico si sviluppò notevolmente, anche grazie alla collaborazione con l’università di Lovanio, fino a diventare l'Orto Botanico Nazionale del Belgio. Oggi si estende su un'area di 92 ettari e ospita oltre 18.000 specie di piante provenienti da tutto il mondo, molte delle quali sono conservate nelle serre del giardino. Inoltre, il giardino svolge importanti attività di ricerca e conservazione della biodiversità, lavorando in collaborazione con altre istituzioni botaniche in tutto il mondo. Rododendron Fortunei e Rododendron Gladis rose Inoltrandosi nel bosco il primo incanto si ha davanti alla vastissima collezione di azalee e rododendri situata all’ombra di esemplari secolari di alberi. Una collezione di origini antiche e una delle più importanti d'Europa che comprende molte specie rare e in via di estinzione provenienti da tutto il mondo. La prima azalea fu piantata all'Orto Botanico nel 1796, ma la vera espansione della collezione avvenne sotto la direzione di Édouard Morren, dal 1869 al 1892, il quale fece molte spedizioni botaniche in Asia, Africa e America, dove raccolse numerose piante di azalee e rododendri. Inoltre, Morren fu un pioniere nella creazione di ibridi di azalee, ottenendo risultati che gli valsero numerosi premi in fiere botaniche internazionali. Oggi questa collezione comprende oltre 2.500 specie e varietà di azalee e rododendri. Durante la fioritura, che solitamente avviene tra aprile e maggio, si ha questa esplosione di colori in varie tonalità di rosa, rosso, viola e bianco. Una vera esperienza visiva. L'Orto Botanico inoltre organizza ogni anno un festival delle azalee, con visite guidate, conferenze e altre attività incentrate sulle azalee e i rododendri. ! Azalee e rododendri Il nome scientifico del genere delle azalee, Rhododendron, è stato dato solo nel 1753 dal botanico svedese Carl Linnaeus, che ha classificato le piante in dettaglio nel suo "Species Plantarum". Il nome "azalea" invece, deriva dal greco "azaleos", che significa "asciutto", e si riferisce alla capacità delle piante di tollerare terreni asciutti. Le azalee e i rododendri anche se sono piante appartenenti alla stessa famiglia botanica, quella delle Ericaceae, hanno molte differenze tra loro quali la fioritura: le azalee hanno fiori a forma di imbuto con cinque lobi, mentre i rododendri hanno fiori a forma di campana con dieci lobi. Per quanto riguarda le foglie quelle delle azalee sono generalmente più piccole e sottili rispetto a quelle dei rododendri. Inoltre, le foglie delle azalee tendono ad essere più morbide e leggere. Anche gli habitat naturale sono diversi: quello delle azalee sono solitamente originarie di zone boschive delle regioni temperate e subtropicali dell'Asia, dell'Europa e dell'America del Nord, mentre i rododendri sono più comuni nelle regioni montane dell'Asia orientale, del nord America e dell'Europa. La differenza c’è anche nella dimensione; i rododendri tendono ad essere più grandi e ad avere una crescita più lenta rispetto alle azalee. ! La serra invernale L'Orto Botanico di Meise ospita anche una vasta collezione di alberi provenienti da tutto il mondo, molti dei quali di significativa rarità, bellezza o importanza culturale. Come la Sequoia gigante alberi originari della California che sono tra i più grandi alberi del mondo. Il Ginkgo biloba un albero antico che è stato descritto come un fossile vivente e ha una lunga storia di uso medicinale. Il Cedro dell'Atlante un albero originario del Nord Africa che è noto per la sua resistenza alla siccità e alla degradazione ambientale. E il Pino di Wollemi un albero che è stato scoperto solo nel 1994 e si credeva estinto da oltre 90 milioni di anni. Oche egiziane L’attuale serra, nota anche come "serra invernale", fu costruita tra il 1952 e il 1958. Struttura innovativa e doveva rimpiazzare la vecchia serra distrutta dalla guerra, con un sistema di riscaldamento basato sull'energia geotermica e un sistema di ventilazione naturale che permetteva il controllo dell'umidità all'interno della serra. La serra invernale oggi ospita una vasta collezione di piante tropicali e subtropicali, tra cui molte specie rare e in via di estinzione, tra cui molte specie di Araceae, come il Colocasia gigantea. Oltre alla serra invernale, l'Orto Botanico di Meise ospita anche altre serre specializzate, tra cui serre per le piante carnivore, le orchidee e le palme. Passeggiando per il vasto orto si può giungere anche a un lago artificiale, un'importante zona di riproduzione e di sosta per numerose specie di uccelli migratori come le oche egiziane (Alopochen aegyptica), originaria dell'Africa subsahariana. Quest’oca è un uccello di grandi dimensioni, ha un'apertura alare fino a un metro e mezzo. Ha una caratteristica testa e collo neri, un piumaggio marrone-grigiastro sul corpo e una coda bianca e vive felicemente in grandi gruppi spesso vicino all’acqua dolce come qua, e sono bellissime da osservare. GALLERY ! Widget Didn’t Load Check your internet and refresh this page. If that doesn’t work, contact us. Fotografie ©CRISTINA ARCHINTO Info: Sito ufficiale Altri GIARDINI e PARCHI Giardino di Villandry Giardini di Villandry Giardini Botanici di Villa Taranto Giardini Botanici di Villa Taranto I giardini di Villa Melzi I giardini di Villa Melzi Parco giardini di Sicurtà Parco giardini di Sicurtà Gairdino di Villa Lante Villa Lante parco del Flauto Magico Parco Flauto Magico Bomarzo Parco Villa la Grange
- Villa d'este | Terrimago
LAZIO TIVOLI Villa d'Este Villa d’Este, capolavoro del giardino italiano e inserita nella lista UNESCO del patrimonio mondiale, con l’impressionante concentrazione di fontane, ninfei, grotte, giochi d’acqua e musiche idrauliche costituisce un modello più volte emulato nei giardini europei del manierismo e del barocco. Il giardino va per di più considerato nello straordinario contesto paesaggistico, artistico e storico di Tivoli, che presenta sia i resti prestigiosi di ville antiche come Villa Adriana, sia un territorio ricco di forre , caverne e cascate, simbolo di una guerra millenaria tra pietra e acque. Le imponenti costruzioni e le terrazze sopra terrazze fanno pensare ai Giardini pensili di Babilonia, una delle meraviglie del mondo antico, mentre l’adduzione delle acque, con un acquedotto e un traforo sotto la città, rievoca la sapienza ingegneristica dei romani. Il cardinale Ippolito II d’Este, dopo le delusioni per la mancata elezione pontificia, fece rivivere qui i fasti delle corti di Ferrara, Roma e Fointanebleau e rinascere la magnificenza di Villa Adriana. Governatore di Tivoli dal 1550, carezzò subito l’idea di realizzare un giardino nel pendio dirupato della “Valle gaudente”, ma soltanto dopo il 1560 si chiarì il programma architettonico della Villa, ideato dal pittore archeologo architetto Pirro Ligorio e realizzato dall’architetto di corte Alberto Galvani. La sistemazione fu quasi completata alla morte del cardinale (1572). Dal 1605 il cardinale Alessandro d'Este diede avvio ad un nuovo programma di interventi per il restauro e la riparazione dei danni alla vegetazione e agli impianti idraulici, ma anche per creare una serie di innovazioni all'assetto del giardino e alla decorazione delle fontane. Altri lavori furono eseguiti negli anni 1660 - 70, quando fu coinvolto lo stesso Gianlorenzo Bernini. Nel XVIII secolo la mancata manutenzione provocò la decadenza del complesso, che si aggravò con il passaggio di proprietà alla Casa d'Asburgo. Il giardino fu pian piano abbandonato, i giochi idraulici, non più utilizzati, andarono in rovina e la collezione di statue antiche, risalente all'epoca del Cardinal Ippolito, fu smembrata e trasferita altrove. Questo stato di degrado proseguì ininterrotto fino alla metà del XIX secolo, quando il cardinale Gustav Adolf von Hohenlohe, ottenuta in enfiteusi la villa dai duchi di Modena nel 1851, avviò una serie di lavori per sottrarre il complesso alla rovina. La villa ricominciò così ad essere punto di riferimento culturale, e il cardinale ospitò spesso, tra il 1867 e il 1882, il musicista Franz Liszt (1811 - 1886), che proprio qui compose Giochi d'acqua a Villa d'Este, per pianoforte, e tenne, nel 1879, uno dei suoi ultimi concerti. Allo scoppio della prima guerra mondiale la villa entrò a far parte delle proprietà dello Stato Italiano, fu aperta al pubblico e interamente restaurata negli anni 1920-30. Un altro radicale restauro fu eseguito, subito dopo la seconda guerra mondiale, per riparare i danni provocati dal bombardamento del 1944. A causa delle condizioni ambientali particolarmente sfavorevoli, i restauri si sono da allora susseguiti quasi ininterrottamente nell’ultimo ventennio (fra questi va segnalato almeno il recente ripristino delle Fontane dell’Organo e del “Canto degli Uccelli”). Gallery 1/1 Foto ©CRISTINA ARCHINTO Info: www.villadestetivoli.info Altri GIARDINI e PARCHI Parco del Paterno del Toscano Villa Lante Labirinto della Masone Giardino dell'impossibile Giardino di Ninfa Villa Pizzo Castello di Masino Parchi di Parigi
- kenroku-en| Terimago
GIAPPONE KANAZAWA Il giardino di Kenroku-en l Kenroku-en "Giardino dei sei attributi" o "Giardino delle sei sublimità" è un antico giardino privato nella città di Kanazawa, prefettura di Ishikawa, Giappone. È considerato uno dei tre giardini più belli del Giappone. Il grande parco-giardino, che si trova vicino all'entrata al castello di Kanazawa, è famoso per offrire ai suoi visitatori bellissimi scorci in ogni stagione. La sua costruzione può essere fatta risalire all'inizio del XVII secolo per opera del clan Maeda, che governava il feudo di Kaga ma non è semplice fornire una data esatta della sua origine. Secondo alcuni può essere fatta coincidere con la costruzione del canale Tatsumi nel 1632 da parte di Maeda Toshitsune, terzo capo del clan Maeda dal 1605 al 1639. Il canale venne in seguito incorporato nel 1822 nel tortuoso fiume artificiale del giardino. Secondo altri, il giardino nasce grazie al quinto daimyo di Kaga, Maeda Tsunanori (r. 1645–1723). Questi fece costruire nel 1676 l'edificio chiamato Renchi-ochin ("padiglione dello stagno del loto") sul pendio che si trova di fronte al castello di Kanazawa, e un giardino circostante, inizialmente chiamato Renchi-tei "giardino dello stagno del loto". Poco si conosce della struttura e delle caratteristiche del Renchi-tei, a causa di un incendio che lo distrusse quasi interamente nel 1759. Stando a documenti risalenti agli anni precedenti, il giardino veniva spesso visitato dalla nobiltà locale, che vi organizzava banchetti per contemplare la luna e le foglie d'autunno, e per ammirare i cavalli. Vi è una leggenda legata alla Fontana sacra del Kenroku-en, secondo alcuni l'elemento più antico del giardino rimasto fino ai giorni nostri: 1,200 anni fa, un contadino di nome Tōgorō si fermò alla Fontana per lavare le patate. All'improvviso, sulla superficie dell'acqua iniziarono a risalire frammenti d'oro, motivo per cui la città venne chiamata Kanazawa, "Palude dorata". L'acqua proviene dal bacino per le purificazioni che si trova presso il santuario shintoista nelle vicinanze, e molte persone vengono a raccogliere l'acqua per la cerimonia del tè presso questa fontana. La Shigure-tei, casa del tè costruita nel 1725 e miracolosamente sopravvissuta all'incendio del 1759, sembra indicare non soltanto la diffusione di questo rituale nel periodo precedente all'incendio, ma anche della cultura ad esso tradizionalmente associata, che avrebbe influenzato l'estetica del giardino. La Shigure-tei fu usata anche dopo l'incendio e poi completamente restaurata durante il periodo Meiji. Un altro elemento già presente nel periodo precedente all'incendio del 1759 è la pagoda Kaiseki-tō, attualmente situata su un'isoletta nella zona centrale del laghetto Isago-ike. Secondo alcune fonti fu fatta erigere da Maeda Toshitsune, terzo daimyo di Kaga, che visse tra il 1594 e il 1658, ed è quindi possibile che sia precedente alla creazione del giardino Renchi-tei. Secondo altre fonti, la pagoda sarebbe stata inizialmente parte di una pagoda a 13 piani situata nel giardino Gyokusen-in del castello di Kanazawa, ma una terza fonte riporta che essa fu portata dalla Corea da Katō Kiyomasa, di ritorno dalle campagne militari iniziate per volere di Toyotomi Hideyoshi, a cui sarebbe stata donata, che a sua volta avrebbe regalato a Maeda Toshiie. Se la teoria è vera, la pagoda arrivò nelle mani del clan Maeda tra il 1592 e il 1598, ovvero gli anni dei tentativi di Hideyoshi di conquistare la Corea e la Cina. Le teorie sopracitate non si escludono a vicenda, per cui è possibile che Maeda Toshiie abbia ricevuto da Hideyoshi una pagoda a 13 piani, posizionandola nel giardino Gyokusen-in, e che i daimyo successivi avrebbero spostato nella posizione attuale, riducendone il numero di piani. Nel 1774, Maeda Harunaga, undicesimo daimyo di Kaga, iniziò i lavori di restauro del giardino, facendo costruire anche la Midori-taki ("Cascata verde") e la Yūgao-tei, una casa da tè. Altri miglioramenti vennero apportati nel 1822 quando il dodicesimo daimyo Narinaga fece costruire i tortuosi ruscelli del giardino, con acqua proveniente dal canale Tatsumi. Il tredicesimo daimyo Nariyasu fece aggiungere altri ruscelli ed espandere il lago Kasumi, donando al giardino la sua conformazione attuale. Il giardino fu aperto al pubblico il 7 maggio 1874. Il nome Kenroku-en gli fu dato da Matsudaira Sadanobu su richiesta di Narinaga, ed è un riferimento ai sei attributi del paesaggio perfetto citati nel libro Luòyáng míngyuán jì ("Cronache di famosi giardini di Luoyang"), scritto dal poeta cinese Li Gefei. I sei attributi sono: spaziosità e intimità, artificio e antichità, corsi d'acqua e panorami. Info: www.pref.ishikawa.jp Foto ©CRISTINA ARCHINTO
- Papaveri e api | terrimago
BOTANICA PAPAVERI E API Perché le api non impollinano i fiori rossi tranne i papaveri? di CARLA DE AGOSTINI L a storia dell’evoluzione è una storia di relazioni tra le specie, oltre che tra le specie e l’ambiente. Quando annusiamo un fiore, per esempio, in realtà sentiamo un messaggio rivolto agli insetti, un richiamo per avvertirli che c’è del nettare che li aspetta in cambio del trasporto del polline. E così vale anche per la scelta dei colori. I fiori come li conosciamo noi sono relativamente recenti. Le Angiosperme, ossia le piante che hanno fiori e frutti da seme, sono apparse tra i 135 e i 140 milioni di anni fa e all’inizio non erano così colorate: i fossili suggeriscono che fossero strutture semplici, dall’aspetto opaco, senza molto pigmento, giallo pallido o al massimo verde. Oggi fatta eccezione per felci, conifere, cicadi e muschi la maggioranza delle comunità vegetali appartiene alle Angiosperme. Piano piano, con la comparsa dei fiori si assiste anche alla nascita dei colori vivaci odierni, un meccanismo sempre più sofisticato per favorire l’impollinazione non solo mediante il vento o l'acqua ma richiamando insetti. Molti fiori si sono così evoluti per adattarsi alle esigenze e alle capacità delle api. Al loro lavoro si deve l'80% dell'impollinazione, senza tale attività non ci sarebbero nemmeno mele, mirtilli, ciliegie, avocado, cetrioli, mandorle, cipolle, pompelmi, arance, zucche e tanto altro. Ed è per attirare le api che il colore brillante dei petali è diventato un'importante variabile di adattamento. Il papavero ha sviluppato strategie tra le più affascinanti e inaspettate perché le api non percepiscono il colore rosso sgargiante visibile all’occhio umano ma sono attratte dall’ultravioletto. L’uomo percepisce il colore grazie al pigmento dell'oggetto e alla parte di luce che questo riflette. Nelle api il campo visivo è invece un mosaico di coni che gli consentono di riconoscere una gamma di colori diversa, aiutano l'insetto a rimanere in equilibrio durante il volo e a individuare precisamente ogni fiore intorno a sé anche a grandi velocità. La gradazione rossa non è percepibile all’occhio dell’ape, e le ricerche hanno dimostrato che distingue solo quattro colori: il giallo (arancio, verde giallastro), il verde bluastro, il blu e l’ultravioletto. Perciò i fiori che ai nostri occhi sono rosso vivo, come la Violaciocca rossa o i Garofani della Cina, non vengono fecondati dalle api, ma dalle farfalle diurne. Mentre fiori come l’erica, il rododendro, il ciclamino o il trifoglio hanno una tonalità porpora che le api recepiscono come colore blu, o un colore bianco percepito come verde bluastro. Il papavero, tuttavia, è uno dei pochi fiori rossi che più attrae le api. Questo perché nei suoi petali le cellule pigmentate si dispongono in modo da creare degli spazi pieni d’aria dove la luce viene dispersa consentendo ai raggi UV di essere riflessi, e di far percepire la gamma ultravioletto all’ape che quindi vi si posa e lo feconda. Tale strategia evolutiva conferma lo stretto legame tra un fiore e il suo impollinatore. Si crede infatti che i papaveri europei abbiamo adattato la propria capacità di segnalare l’ultravioletto man mano che colonizzavano le regioni del nord, così oggi in Europa i papaveri sono impollinati dalle api, che vedono bene le radiazioni ultraviolette, mentre in Medio Oriente lo sono dai coleotteri, che vedono perfettamente il rosso. Negli anni l’interesse per le api impollinatrici è aumentato con quello per la ricchezza e la diversità del mondo naturale, è la cosiddetta biodiversità la cui perdita è motivo di crescente preoccupazione. È infatti la varietà degli organismi a permettere agli ecosistemi di resistere alle perturbazioni dell’ambiente o del clima, mentre la diversità genetica che si ottiene con l’impollinazione incrociata tra diverse specie garantisce una maggiore e più vitale quantità di semi. Oggi la moria delle api è causata soprattutto dalle monocolture, che limitano la scelta degli impollinatori, e dall’abuso dei pesticidi che uccidono gli insetti o, nel migliore dei casi, ne alterano le capacità. I benefici che l’impollinazione invece regala alla società sono fondamentali per la vita e non dovrebbero assolutamente essere sottovalutati. Per fortuna oggigiorno nella società e nell’individuo l’interesse a questi processi sta via via crescendo e questo porterà, si spera, a salvare gli impollinatori ed a godere di prati sempre più colorati. GALLERY Foto ©CRISTINA ARCHINTO Altri AMBIENTi E BOTANICA Vie cave opuntia fiorita Opuntia Alberi Caño Cristales Palmeti Palmeti Caldara di Manziana Terra scoscesa Tevere
- MAX10SCATTI | terrimago
FOTOGRAFARE PAESAGGI IN MAX 10 SCATTI Oggigiorno si ha la possibilità di fare mille foto al prezzo di una e così per paura di perdere anche un solo un dettaglio ci ritroviamo sommersida troppi pixel che messi insieme non rispecchiano più il fulcro del nostro racconto. Max 10 scatti vuole suggerire che, se le fotografie sono pertinenti e con un forte connotato soggettivo, bastano anche 10 scatti per un buon racconto fotografico. WILTSHIRE - Inghilterra PAESAGGI INGLESE "Tutti sanno essere buoni in campagna” sosteneva Oscar Wilde, e in fondo aveva ragione. Soprattutto se si tratta della campagna inglese o, per meglio dire, del countryside. Il verde, anzi il complesso dei verdi, le staccionate, le pecore, i filari di alberi, le case solitarie, i campi coi boschetti e i piccoli corsi d’acqua, sono un esauribile fonte di vero piacere naturale. Per dare profondità a un paesaggio piatto è utile avere uno o più punti di fuga, magari con l'aiuto di una staccionata o sentiero campge inglesi GROSSETO - Toscana COLLINE TOSCANE Quando si passeggiare per le colline grossetane si ha sempre l'impressione di essere osservati dalle maestose querce che tra un campo di olivi, uno di pascolo o di vigneti, si stagliano nel cielo azzurro. Sono delle meravigliose sentinelle nelle dolci colline toscane. Per raccontare bene gli alberi è importante avere uno sfondo neutro come ad esempio il cielo colline toscane CORNIGLIA/VERNAZZE - Liguria PASSEGGIATA ALLE CINQUE TERRE Le passeggiate nei sentieri tra un borgo e l'altro nelle Cinque Terre sono una successione di alti e bassi, di oliveti, prati fioriti, di muretti a secco, di sentieri a strapiombo e di affacci mozzafiato su tutta la costa. “D’un teatro il cui proscenio s’apre sul vuoto, sulla striscia di mare alta contro il cielo attraversato dai venti e dalle nuvole”, così descriveva le Cinque Terre Italo Calvino. Per racconatre un paesaggio bisogna imparare a gurdare da più punti di vista, magari anche dietro Cinqu terre ASSISI-Umbria IL BOSCO DI SAN FRANCESCO Ad Assisi, tra il silenzio e la bellezza di boschi, rami in fiore, radure e oliveti, sorge il Bosco di San Francesco. Un luogo suggestivo di pellegrinaggio ma anche di riflessione sulla pacifica coesistenza tra uomo e natura, ispirato agli insegnamenti di armonia di San Francesco. Ed è proprio qui che Michelangelo Pistoletto ha creato “Terzo Paradiso”, un’opera di Land Art con alberi di olivo. “I due cerchi esterni" scrive Pistoletto "rappresentano tutte le diversità e le antinomie, tra cui natura e artificio. Quello centrale è la compenetrazione fra i cerchi opposti e rappresenta il grembo generativo della nuova umanità”. Mantenere le stesse tonalità di colori in più fotografie è un elemneto collante in un servizio bosco disan francesco Lazio CALDARA DI MANZIANA Una piana lunare, con alcuni geyser di acqua sulfurea, che dolcemente si immerge in una conca circondata da affascinati betulle. La giornata era particolarmente solare, con una bella luce limpida e il bianco dei tronchi col marrone delle felci in riposo, facevano un intenso contrasto con il cielo di un azzurro pieno. Gli alberi del boschetto erano quasi tutti dritti come fusi, più o meno tutti della stessa dimensione, ogni tanto se ne poteva scorgere uno caduto che di colpo tagliava in due questo ritmo grafico come fosse uno di quei quadri astratti degli anni '60. Quando guardavi in alto le delicate chiome della betulle si scioglievano nel blu del cielo e rimanevano visibili solo i frutti a forma di coni penduli e magari alcune sporadiche foglioline rimaste lì solitarie. Sul fondo della conca scorreva questo fiume dal colore indescrivibile che andava dal blu, al rosso per finire al bianco, dove i bianchi tronchi creavano dei riflessi morbidi come fossero stati dipinti su una tela. Sapere che le betulle normalmente non si trovano assolutamente a questa latitudine dava anche di più questo paesaggio una spolverata di magico oltre che di unico. Vedere la natura in modo astratto Caldara ROMA-Lazio ROSETO Alcuni scatti realizzati al roseto di Roma Il Roseto ospita circa 1.100 varietà di rose botaniche, antiche e moderne provenienti da tutto il mondo. Gli esemplari coltivati provengono un po' da tutto il mondo: dall'Estremo Oriente sino al Sud Africa, dalla Vecchia Europa sino alla Nuova Zelanda, passando per le Americhe. Sfuocare lo sfondo, aprendo molto l'obbiettivo e automaticamente aumentando molto il tempo, fa risalta molto i fiori Roseto TORINO-Piemonte PARCO DEL VALENTINO Il parco del Valentino si sviluppa lungo le sponde del fiume Po ed ha una grande varietà di alberi. In autunno i colori sono notevoli soprattutto alle prime luci della giornata, quando il sole è di taglio e si infila ne gli alberi, o si adagia sulle chiome degli alberi. Scattare contro sole usando elementi naturali per filtrare la luce parco del vlentino
- Workshop fotografie giardini e piante | terrimago
Terrimago fotografare WORKSHOP FOTOGRAFIA GIARDINI & PIANTE a cura di Cristina Archinto Osserva, elabora, scatta Passeggiare per un bel giardino, immergersi nella natura e godersi un bel fiore spesso non ha eguali e oramai, visto che abbiamo bisogno di tenere registro di tutte le nostre emozioni con delle fotografie, scattare è diventato il nostro mantra quotidiano. Certo oggigiorno la tecnologia ci aiuta ed è sicuramente diventata fondamentale ma spesso non basta, anzi, a differenza di quello che si pensa, spesso porta a delusioni e a maggior quantità di pixel da guardare, gestire e archiviare. L’equazione più scatti uguale più probabilità di avere una bella foto raramente e giusta. Per migliorare i propri scatti bisogna affrontare la questione a monte e imparare ad osservare ed esplorare con concentrazione e trasporto, ci vuole allenamento e di giusta prospettiva. Nell’ambito della natura, osservarla e raccontarla è meno facile di quello che si pensi. Un giardino è la somma di più parti e quindi non basta fotografare un bel fiore o un bell’albero per raccontare la sua anima. Ogni fotografia è un racconto, un racconto ogni volta diverso, che può essere breve o lungo, descrittivo o minimalista, ma è solo avendo a fuoco ciò che vogliamo narrare che saremo soddisfatti dei nostri scatti. Trovato il soggetto, a quel punto bisogna utilizzare la tecnica e i trucchi per esprimere il proprio racconto in una fotografia che parli da sola e che si avvicini più possibile alla realtà soggettiva. I workshop di Cristina Archinto si svolgono esclusivamente in giardini, parchi o orti botanici, di tutta Italia, per apprendere ad osservare veramente “dal vivo”. Qui grazie ai suoi consigli arricchirete le vostre conoscenze fotografiche, e riuscirete a rendere i vostri scatti dei “racconti” che lasciano il segno. Svolgimento dei workshop Introduzione Impariamo a guardare Lavoro pratico Lavoro teorico Tecniche e consigli sulla fotografia nell’ambito delle piante e giardini Lavoro sul campo A fine giornata Cristina farà, con chi lo desidera, un lavoro di lettura e analisi di alcuni scatti scelti realizzati nella giornata. Questo workshop è adatto a tutti, (sono ammessi anche ragazzi sopra i 12 anni accompagnati) Si può partecipare sia con macchine fotografica reflex che con uno smartphone (sarebbe opportuno che avesse l’opzione scatto manuale) Prenotazione obbligatoria. Massimo 10 partecipanti. Il costo è di 110€ a persona, 100 per gruppi di almeno 3 persone. Una giornata passata a parlare di fotografia ma soprattutto di immagini e di racconti. Calendario 2023
- Opuntia | terrimago
BOTANICA OPUNTIA FICUS-INDICA di CARLA DE AGOSTINI L’ Opuntia ficus-indica, meglio conosciuto come ficodindia, è una pianta succulenta, con foglie spesse e carnose, della famiglia delle Cactacee ed è xerofila, ossia che vive preferibilmente in ambienti aridi, dove può raggiungere anche i 5 metri di altezza. La pianta non ha un tronco principale, i suoi fusti sono i cladodi, comunemente noti come pale, che si occupano della fotosintesi, mentre le sue foglie col tempo si sono evolute in spine. La sua grande capacità di adattamento in ambienti sfavorevoli è dovuta anche alla sua peculiare fotosintesi che limita le perdite di acqua. Questa via fotosintetica, chiamata Metabolismo Acido delle Crassulacee o CAM, separa nel tempo i processi di assimilazione e fissazione della CO2. Le piante CAM, infatti, aprono gli stomi di notte e non di giorno per l’assorbimento di anidride carbonica. Questo avviene perché di notte le temperature sono minori e la pianta perde meno acqua di quanta ne perderebbe di giorno, quando invece chiude gli stomi e converte l’energia in zuccheri semplici. Questo tipo di fotosintesi aumenta la capacità delle piante succulente di mantenere l’equilibrio idrico, motivo per cui la maggior parte delle piante CAM occupa ambienti aridi o salini, e in generale tutti quelli nei quali la disponibilità idrica è periodicamente bassa. L’origine dell’epiteto Opuntia ficus-indica è stata oggetto di dibattito: secondo alcuni deriva da un’antica regione della Grecia, la Locride Opuntia e dalla sua capitale Opunte, nei cui pressi gli scritti di Plinio il Vecchio riportavano di una pianta con frutti gustosi che radicava dai rami. Col tempo, però è stato confermato che la pianta è originaria del Messico e il nome botanico è quindi dovuto alla somiglianza morfologica del suo frutto col fico mediterraneo e all’origine geografica, le Indie occidentali. Una leggenda vuole che ai tempi dei conquistatori spagnoli l’imperatore degli Atzechi, Montezuma, fosse solito ricevere come tributo dagli stati assoggettati sacchi pieni di grana . Ossia una cocciniglia (Dactylopius coccus) parassita dei cladodi del ficodindia, dal cui corpo essiccato si può estrarre la tinta del rosso carminio, utile per tingere ceramiche, tessuti e architetture, di una tonalità talmente intensa mai vista prima. Il suo potere colorante è infatti dieci volte più forte e persistente del kermes , ritenuto fino ad allora il miglior prodotto per la tintura rossa, tanto che gli spagnoli decisero di tenere nascosto il procedimento per quasi due secoli e mezzo, creando il monopolio della grana cochinilla , che divenne tra i beni più richiesti. Tra i più grandi acquirenti spiccano gli inglesi che tenevano particolarmente al colore delle loro divise, le famose red coats. Fino a quando nel 1777 un medico francese riuscì a scoprire il processo. Ottenuta l’informazione gli inglesi esportano in Australia la pianta e la sua cocciniglia, nella speranza di realizzare piantagioni per realizzare la grana, ma nonostante il clima apparentemente perfetto, gli insetti non sopravvissero. Al contrario, i fichidindia divennero delle piante infestanti danneggiando i pascoli e il territorio: si stima che nel 1920 fossero diffuse su oltre 30 milioni di ettari, con una velocità di conquista di mezzo milione di ettari all’anno! Un danno enorme che ancora oggi si sta cercando di porre rimedio cercando soluzioni. In Europa la pianta venne introdotta per il fascino che emanava e nel XVI secolo divenne un importante protagonista dei giardini botanici, sia per ragioni di curiosità scientifica e che per la sua vocazione ornamentale. Successo confermato anche dalla frequenza con cui la pianta è rappresentata nei disegni o nelle arti figurative, come ad esempio nella Fontana dei Quattro Fiumi a piazza Navona, dove Bernini mette l’Opuntia a sfondo della rappresentazione del Rio de la Plata. In tutto il bacino del Mediterraneo la sua capacità di adattamento e di propagazione ne hanno facilitato la riproduzione, specialmente nelle isole italiane, dove il ficodindia si è acclimatato fino a divenire un elemento caratteristico del paesaggio e spesso viene utilizzato come frangivento o recinto per i greggi. Inoltre si è rivelato una inesauribile fonte di prodotti e funzioni, la pianta è stata subito apprezzata per l’uso foraggero dei cladodi e per i frutti, che possono essere consumati freschi o utilizzati anche per la produzione di succhi, liquori, gelatine, marmellate, dolcificanti e tanto altro. In Messico si mangiano anche i giovani cladodi, noti come nopalitos, e utilizzati come verdura fresca. La Sicilia è quella che presenta, storicamente, il più ampio panorama di utilizzazioni. Viene infatti coltivato nelle aree interne, dove i frutti vengono definiti addirittura il “pane dei poveri” e nelle zone costiere, tendenzialmente nei giardini fruttiferi per uso produttivo e di piacere. La tradizione contadina siciliana è ricca di prodotti del ficodindia, dal suo liquore ai mostaccioli (biscotti tipici) fino alla mostarda. Nel 1891 René Bazin, scrittore francese di fine ‘800, scrisse che “con una ventina di fichidindia… un siciliano trova la maniera di fare prima colazione, di pranzare, di cenare e di cantare nell’intervallo”. Ed è dalle pale siciliane, e in parte sarde, che il ficodindia arriva e invade l’Eritrea, piantata sia dai missionari italiani del 19° secolo che dai migranti della prima colonizzazione italiana. Qui, i beles, nome in eritreo, non sono solo i frutti ma è anche l’appellativo scherzosamente dato dai coetanei del Corno d'Africa ai giovani eritrei di seconda generazione che risiedono in Italia, perché arrivano con la stessa puntualità dei frutti: nella stagione delle piogge estive, e poi ripartono. Oggigiorno l’Opuntia ficus-indica viene usato per i prodotti più disparati, sia per il suo alto valore nutrizionale, ricco di minerali, soprattutto calcio, fosforo e vitamina C sia per la sua mucillagine, la sostanza che permette alla pianta di avere riserve d’acqua. Grazie ad essa, il ficodindia è infatti diventato un grande protagonista nelle innovazioni ecosostenibili. Per esempio, una professoressa messicana di ingegneria chimica, S. Pascoe Ortiz, ha brevettato un materiale plastico e biodegradabile: mescolando il succo di ficodindia con glicerina, proteine e cere naturali, ha ottenuto un liquido che dopo essere laminato ed essiccato, diventa una bioplastica completamente atossica, biodegradabile e commestibile. Anche in Italia proliferano gli utilizzi alternativi del ficodindia, ad esempio, sempre dalla mucillagine, è stato sperimentato un collante per le operazioni di restauro degli affreschi e dai suoi scarti un’industria tessile ha ricavato un eco-pelle cruelty-free. Ma non basta, ci sono anche occhiali da sole derivati dalle loro fibre, mobili e lampade scultoree realizzate con gli scarti delle pale che a fine vita sono interamente biodegradabili! GALLERY Foto ©CRISTINA ARCHINTO Link Giardino di Valeria Parco Paternò del Toscano Giardino Botanico di Pallanca Giardino Botanico Villa Rocca Altri AMBIENTi E BOTANICA Papaveri e api Vie cave Alberi Caño Cristales Palmeti Palmeti Caldara di Manziana Terra scoscesa Tevere