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  • Labirinto della Masone | terrimago

    EMILIA ROMAGNA IL LABIRINTO DELLA MASONE DI LIVIA DANESE In prossimità del borgo di Fontanellato, nella provincia parmense, si trova il labirinto più grande del mondo. Il Labirinto della Masone è stato realizzato dall’editore e collezionista Franco Maria Ricci che sognava con l’amico e collaboratore Jorge Luis Borges di concepire un percorso naturale tortuoso che riflettesse idealmente le incertezze del cammino degli uomini. Nella forma intricata del labirinto si riconosce la complessità del mondo. Rappresenta un simbolo naturale della perplessità e dello spaesamento provato dall’uomo davanti all’ignoto o all’irrazionale. Un dedalo tradizionalmente nasce per confondere, per disorientare. Eppure il Labirinto della Masone è stato concepito con l’intenzione di allontanarsi il più possibile dall’analogia labirinto-prigione. È nato per stupire, per meravigliare e per accogliere. Protagonista indiscusso dell’ambiente è il bambù: leggero ma estremamente resistente, si slancia verso l’alto raggiungendo altezze sorprendenti. I Bambusa sono una specie ricca di valori simbolici, nella tradizione orientale rappresenta metaforicamente la coscienza degli uomini retti che restano saldi davanti alle difficoltà. Alcune leggende associano inoltre il bambù alla perseveranza ed alla pazienza: solo dopo aver sviluppato radici solide e sane la pianta può crescere elegante e rigogliosa. Il Labirinto è composto da più di duecentomila specie diverse che crescono vigorose verso il cielo, formando un dedalo di sentieri e di vicoli ciechi apparentemente indistinguibili. Durante il cammino si può sostare all’ombra di questa pianta sempreverde per accogliere il significato simbolico che lega l’esistenza dell’uomo alle caratteristiche della pianta, ricordando l’importanza di essere flessibili ma resistenti, versatili e pazienti. Intricati giochi di luci e di ombre e alternanze di colori accompagnano il visitatore attraverso un percorso tortuoso e alienante che conduce all’insolita cappella di forma piramidale posta in una piazza al centro del labirinto. Dopo il cammino all’interno del dedalo, si aprono qui spazi più ampi e luminosi che orientano nuovamente l’ospite e lo conducono verso la fine del percorso. Il Labirinto della Masone è un luogo da visitare una volta nella vita, non solo per il sito in sé ma anche per le campagne che lo circondano, genuine, reali e anacronistiche, tanto amate dal fotografo Luigi Ghirri. Livia Danese GALLERY Foto ©CRISTINA ARCHINTO Info Sito ufficiale Altri giardini botanici e vivai Parco Paterno del Toscano Orto Botanico di Ginevra Orto Botanico di Ginevra Centro Botanico Moutan Orto Botanico di Palermo Roseto di Roma Chicago Batanical Garden Giardino Esotico Pallanca

  • Bomarzo | terrimago

    LAZIO Bomarzo di LIVIA DANESE Il Sacro Bosco di Bomarzo si presenta notoriamente come un luogo enigmatico e affascinante. Ideato dal principe Orsini, venne inaugurato nel 1547 e dedicato a sua moglie Giulia Farnese. Abbandonando alla porta qualsiasi pregiudizio e convinzione, si è trasportati in un contesto surreale che coniuga il mondo dell’esoterismo e della mitologia con la placidità e la bellezza delle colline delle campagne viterbesi. Il giardino, anche noto come “Parco dei Mostri”, si crogiola nella sua fama di luogo ermetico e misterioso ma rappresenta più di una semplice espressione del gusto per le eccentricità dello stile manierista. La natura non è accessoria rispetto alle estrosità artistiche ma interviene direttamente nel produrre le sensazioni di straniamento, alienazione e fascino suscitate dal parco. Le statue, le fontane e le architetture, scolpite direttamente in loco nella roccia, sembrano emergere da un ambiente naturale che accentua la loro ambiguità. Le opere dunque non solo convivono con l’ecosistema ma sono in dialogo con esso: una gigantesca tartaruga sfrutta la fitta vegetazione per nascondersi ed affrontare una balena immersa nel torrente, per difendere la figura femminile collocata sul suo carapace. Le sfingi all’ingresso invitano direttamente i visitatori a concentrarsi sulle meraviglie del luogo, lasciando intuire che saranno i sensi, oltre che la mente, a guidare il percorso. Forse la frase “ogni pensiero vola” riportata sulla testa antropomorfa dell’Orco rappresenta proprio un invito ad abbandonare la totale razionalità? Iscrizioni enigmatiche e indovinelli, natura apparentemente sovrabbondante che ricopre ogni cosa, tutto sembra pensato per far perdere ogni equilibrio, come dimostra perfettamente la casa pendente. Allo stesso tempo sono presenti nel parco simboli rassicuranti, come la statua della dea Cerere, divinità materna della fertilità, e le ninfe danzanti. A causa dei cambiamenti avvenuti nel tempo, oggi l’itinerario attraverso il parco è diverso rispetto ai progetti del committente Orsini e questo rende ancora più complessa l’interpretazione dei simboli lungo il percorso. L’invito alla riflessione resta tuttavia chiarissimo; ora non resta che immergersi nell’intricato giardino, composto da una natura verdeggiante, dalle follie pietrificate e dai versi sibillini, interiorizzando le suggestioni, i misteri e l’incanto del luogo. GALLERY Foto ©CRISTINA ARCHINTO Info Sito ufficiale In evidenza Felce maschio - Dryopteris filix-mas Le felci sono le più antiche piante sul nostro pianeta e si stimi siano presenti da 350 milioni di anni. Il suo nome scientifico Dryopteris deriva drys quercia e pteris felce, infatti è molto comune nei boschi ombrosi di castagni e querce. Da sempre utilizzate come coloranti per via della presenza di tannino le felci venivano anche utilizzate per fare materassi e cuscini e il loro un buon odore allontanava le pulci. La felce ricorre anche in tante leggende e miti di tutta Europa una fra tutte narra che proprio nella notte tra il 23 e il 24 giugno festa di San Giovanni Battista la felce generi un fiore bianco candido che ha il potere di renderti invisibile, come i suoi semi. Anche Shakespeare ne era a conoscenza e la cita nel suo Enrico IV “Noi rubiamo come fossimo in una botte di ferro, perfettamente sicuri, abbiamo la ricetta dei semi di felci, camminiamo invisibili”. Altri GIARDINI e PARCHI Parco del Paterno del Toscano Villa Lante Labirinto della Masone Villa d'Este Giardino di Kenroku-en Giardino dell'impossibile Giardino di Ninfa Villa Pizzo

  • Reggiadivenaria | terrimago

    DIARIO FOTOGRAFICO Luci invernali nei Giardini della Reggia di Venaria Fotografie e testo di Cristina Archinto A ndata alla Reggia di Venaria per vedere la mostra di John Constable, mi sono ritrovata col naso schiacciato contro una finestra estasiata dalla bellezza dei suoi giardini invernali. L’assenza di sole dovuto a una coltre di nuvole dai toni bianco-grigio aumentava il suo fascino. Ripeto spesso che io mi sento più fotografa di luce che di giardini ma davanti a tante geometrie confesso che mi sono ritrovata indietro nel tempo, alla mia prima grande passione: la fotografia d’architettura. Decisa a non perdere quest’occasione mi ritrovo nel parco, due mesi dopo aver già fatto un servizio fotografico, accompagnata questa volta dalla solo macchina Leica ma di certo sufficiente per l’occasione, e soprattutto con nessun obbligo lavorativo. Presente alla situazione solo un gran freddo e nessuna anima viva. Perfetto. ​ Inaugurati nel 2007 i Giardini di Venaria sono una buona combinazione tra un passato sei-settecento geometrico recuperato e un presente artistico con opere d’arte di Giuseppe Penone e Giovanni Anselmo inserite armoniosamente nel suo paesaggio. L’intero complesso cittadino di Venaria si sviluppa in lungo, e il giardino ne segue il suo corso con la lunghissima Allea Centrale che va dalla fontana di Ercole al tempio di Diana creando nel suo insieme un’unica asse. Lungo il fianco della Citroniera e della Galleria Grande si trova il Gran Parterre dai toni di grandiosità dati dalle proporzioni, pieno di tassi cilindrici, vasi di agrumi e vere e proprie stanze con pareti, boschetti e volte vegetali lungo il perimetro con molti fiori gran parte dell’anno. Nel settecento era un’area di rappresentanza, dove passeggiare con l’ombrellini spettegolando era d’obbligo. Purtroppo nel tempo è stato anche un luogo dove la natura è stata rimpiazzata dai militari di ogni dove, durante diverse guerre. Presenti anche vari giardini, come quello delle rose, dei fiori e i Potager Royal con verdure e frutteti, ma di certo non sono un’attrazione in questa stagione. Appunti fotografici Nei giardini della Venaria chiunque ami osservare rimane sicuramente affascinato davanti alla bellezza dei viali di carpini quasi completamente spogli che invece di nascondere velano soltanto la Grande Reggia o le strutture ramificate dei maestosi alberi lungo i viali e affianco alla vasca della Peschiera che si riflettono sullo specchio d’acqua leggermente ghiacciato. Anche le betulle coi loro rami bianchi e pochissime foglioline marroni si amalgamano nella luce del paesaggio quasi fossero sete giapponesi. I lunghi viali prospettici tagliano in due il riquadro fotografico, i bossi a piramide e le siepi potate a gradoni o a semicerchi si impongono sull’immagine come arte astratta. Anche le opere dalle forme rigide di Pennone sottolineano l'aspetto geometrico del paesaggio. Forse a prima vista sembra facile fotografare questi giardini, principalmente per merito delle geometrie che raccontato facilmente lo spazio, bisogna stare attenti perché il rigore degli assi deve essere assoluto, una foto anche leggermente inclinata sarebbe una distrazione per gli occhi. Inoltre utilizzando il punto focale centrale non ci sono difficoltà, differentemente se lo si vuole variare, bisogna stare attenti agli equilibri dell’inquadratura che se stravolti rischiano di rompere l’armonia della fotografia rendendola spiacevole. I colori d’inverno e con luce uniforme tendono a mantenere tonalità simili e morbide che vanno dal beige al verde. In questo caso si è voluto dare un forte contrasto con picchi di rossi o di gialli dovuti ai rami dei sali bianchi corniolo corallo presenti nel giardino. La luce uniforme della giornata è motivo dell’assenza totale di ombre, fatto che in contesti più naturali creerebbe non poco sconforto, in questo caso si rivela vincente non solo perché si può facilmente fotografare da qualunque lato ma anche perché le forme geometriche non vengono deformate dallo scuro delle proprie ombre. Cimentarsi fotograficamente con questi giardini e in queste condizioni è magico, lo consiglio a tutti, che siano dei giardini o anche un paesaggio in pianura, in inverno o con il cielo dai colori uniformi. Un grande maestro è stato Luigi Ghirri che per chi per caso non conoscesse ancora consiglio vivamente di andare a Parma fino al 26 febbraio a vedere la sua mostra Labirinti della visione. Luigi Ghirri 1991 . Andateci e scopritelo. Oppure andate alla Reggia di Venaria, di certo troverete anche in altre stagioni, spunti panoramici molto stimolanti. L'importante è prima di tutto osservare, osservare e osservare ancora poi elaborare l'inquadratura e infine scattare una foto veramente vostra. ​ GALLERY Foto ©CRISTINA ARCHINTO Link Reggia di Venaria Altri GIARDINI e PARCHI Giardini Botanici di Villa Taranto Giardini Botanici di Villa Taranto I giardini di Villa Melzi I giardini di Villa Melzi Parco giardini di Sicurtà Parco giardini di Sicurtà Gairdino di Villa Lante Villa Lante parco del Flauto Magico Parco Flauto Magico Bomarzo Parco Villa la Grange Labirinto della Masone

  • Giardini villa melzi | terrimago

    LOMBARDIA I GIARDINI DI VILLA MELZI D'ERIL Il gusto geometrico del verde Fotografie Cristina Archinto Testo Carla De Agostini E ra il 1808 quando Francesco Melzi d’Eril, duca di Lodi, gran consigliere, guardasigilli del Regno d’Italia e amico personale di Napoleone, decide di costruire la propria residenza estiva a Bellagio su un terreno con uno stupendo affaccio sul lago di Como. Nasce così Villa Melzi d'Eril e i suoi giardini, sfruttando i terrazzamenti naturali e la varietà di vedute in cui è immersa, giocando sui percorsi curvilinei che attraversano la proprietà in tutta la sua estensione e ne collegano i punti di interesse, gli arredi architettonici e le numerose sculture a soggetto storico e mitologico collocate tra la ricca vegetazione. All’ingresso della proprietà, in direzione di Bellagio, si raggiunge una piccola area sistemata a giardino orientale, con il caratteristico laghetto, circondata da aceri giapponesi e camelie che creano un insieme dai colori sgargianti. Il giardino alterna maestosi alberi secolari a specie esotiche e rare, raggruppati in macchie boschive, impiantati a filari lungo la riva o isolati nel tappeto erboso. Il gusto raffinato dell’esotico che caratterizza i Giardini di Villa Melzi trova la sua espressione più graziosa nelle numerose specie di camelie storiche, ad oggi circa 250, che si possono ammirare nel parco, soprattutto nelle vicinanze dei due ingressi, a Loppia e a Bellagio. Molte di loro sono nate da seme e sono perlopiù riconducibili alla specie principale di Camelia japonica, ma un cospicuo numero è costituito da cultivar di grande interesse storico-botanico, creati nell’Ottocento. Villa Melzi riprende anche la tradizione dell’arte topiaria, in Italia giunta all’eccellenza nel tardo Rinascimento. All’epoca, il gusto e la sensibilità dell’Umanesimo, la cui filosofia si basa sull’idea dell’uomo prometeico e del suo trionfo sulla natura, ispirano la creazione di giardini attentamente asserviti alla geometria delle forme, quindi la riscoperta dell’ars topiaria con le sue tecniche di potatura per modellare le piante in forme decorative. Questo stile affonda le proprie radici in epoca romana, con un’influenza dell’arte greca, quando ovvero, grazie all’Impero, le tendenze culturali si riunificano e intrecciano al servizio di una nuova estetica. I primi esperimenti si realizzano nei nuovi giardini delle ville suburbane, voluti dalle famiglie dell’aristocrazia. Il giardino romano acquista un intreccio di poesia, scultura e pittura ellenica, che darà vita a una vera e propria nuova composizione paesaggistica, che poi diventerà la base del giardino all’italiana. Nei giardini di Villa Melzi si possono apprezzare le simmetrie, non solo per il gusto geometrizzante ma anche per celebrare la bellezza dei caratteri essenziali della stessa natura: non solo giardinaggio ma arte, attraverso la scelta precisa di colori e forme, come la potatura a ombrello dei platani o la particolare collocazione di alberi secolari e specie esotiche, dove la Ginkgo biloba, i faggi rossi o le canfore valorizzano il panorama intorno, assieme ad arbusti, rododendri, azalee e camelie. L’amore e la precisione spiccano a Villa Melzi, nella cura del verde, nella varietà architettonica di parapetti, balaustre, busti marmorei, nelle gallerie di agrumi, che creano un gioco di geometrie inedito e affascinante, in cui perdersi senza far caso al tempo che passa. LE CAMELIE NELLA STORIA Ne L’amore di tempi del colera di Gabriel Garcia Marquez, la protagonista Fermina Daza rifiuta la camelia offertagli da Florentino dicendogli che “è un fiore che impegna”. Ed è stato proprio come pegno d’amore che le camelie sono arrivate in Italia nel 1760, regalo dell’ammiraglio Nelson a lady Emma Hamilton, che la fece piantare nel Giardino della Reggia di Caserta. Molto simile alla rosa e di grandi dimensioni, i fiori della camelia hanno origine in Cina e in Giappone, e fanno parte della famiglia delle Theaceae . Le camelie ornamentali sono considerate fin da subito una rarità destinata a pochi, sfoggio non solo di potere, ma anche di gusti raffinati. Nel tempo, la storia di questo fiore assume molte sfaccettature e significati, ma quello più diffuso rimane senza subbio il simbolo di amore, devozione e stima. La camelia raggiunge grande notorietà con il romanzo di Alexandre Dumas La signora delle Camelie , edito per la prima volta nel 1848, la cui protagonista Marguerite Gautier si ispira alla cortigiana Marie Duplessis che era solita appuntare sul proprio vestito una camelia bianca o rossa, a seconda della stagione. Questa moda condivisa tanto dalle donne quanto dagli uomini divenne presto un dettaglio di classe d’ordinanza sui baveri dei signori e fra i capelli delle signore, e per molto tempo resterà appuntata alle loro scollature. Nel 1923 Coco Chanel porta per la prima volta in passerella abiti con broches (spille) di candide camelie di chiffon, modellate sulla Camelia japonica Alba plena , la cui struttura a petali sovrapposti si pensa possa averle suggerito anche il suo logo della doppia C incrociata; Proust quegli stessi anni li chiama camélia à la boutonnière (Camelia all’occhiello). Col tempo da fiore della nobiltà e del lusso, la camelia è diventata più democratica, ma nei giardini conserva ancora la sua aria da fiore raffinato. GALLERY Foto ©CRISTINA ARCHINTO LINK Sito ufficiale Altri GIARDINI e PARCHI Parco giardini di Sicurtà Parco giardini di Sicurtà Gairdino di Villa Lante Villa Lante parco del Flauto Magico Parco Flauto Magico Bomarzo Parco Villa la Grange Labirinto della Masone Giardino di Kenroku-en Giardino dell'impossibile

  • Centro Botanico Moutan | terrimago

    LAZIO CENTRO BOTANICO MOUTAN Il giardino delle peonie cinesi DI GRETA ARNCIA SANNA Nascosto nelle campagne del nord Lazio si trova un giardino, unico nel suo genere, che ospita tutte le specie e le varietà di peonie cinesi. Qui fiorisce una collezione inedita di piante rare uniche tra lecci, allori, cipressi e piante autoctone. In aprile e maggio questo angolo di terreno fiorisce in un'infinità di colori e profumi inebrianti.La storia della più grande collezione di peonie cinesi al mondo inizia nel 1980 con Carlo Confidati, la cui ricerca di un disegno originale per il suo giardino di casa lo ha portato a farsi catturare dal fascino del fiore, apprezzato da molti per la sua bellezza. Il centro è stato fondato nel 1993 per il profondo desiderio di conoscere tutte le specie e le varietà di peonie arboree cinesi esistenti. L'aspirazione era quella di trovare questi fiori nelle zone più remote dell'Asia, importarli in Europa e riunirli in un unico luogo, per promuoverne la conoscenza e la diffusione. Oggi il Centro Botanico Moutan comprende circa 600 diverse varietà e ibridi naturali appartenenti a specie botaniche conosciute. Le gemme indiscusse del paesaggio attuale sono le specie Rockii, straordinarie peonie che crescono spontaneamente sugli altipiani del Tibet, ad un'altitudine di oltre 2000 metri, resistendo a temperature estreme che scendono sotto i -20°C. Il nome cinese di questo fiore è "Zi ban mu da", che significa "albero di peonia con fiori alla base dei petali". Questa caratteristica lo rende facilmente identificabile e molto pregiato. Fu scoperta nel 1925-26 dall'americano Joseph Rock, un cacciatore di piante. Ha un cespuglio vigoroso e largo, alto 3 metri, con fiori bianco latteo che presentano una caratteristica macchia nera alla base. Con il suo fogliame elegante e caratteristico, la macchia sui petali, la fioritura tardiva e la notevole resistenza al freddo la peonia Rockii è l'orgoglio e la gioia del giardino. Un'altra peonia che adorna il giardino è la specie Ostii. Queste si presentano con fiori bianchi singoli con una media di 12 petali, con occasionali venature rosa. È inoltre un fiore precoce e di lunga durata con un profumo delicato. Le due ultime specie sono state spesso combinate in un ibrido di fiori con una sfumatura di colore non comune: il rockii x ostii. Le piante sono ottenute per ibridazione spontanea dei parentali, mediante una lunga propagazione con il seme e la selezione della progenie. Questo fa di ognuna di esse un esempio unico e irripetibile che può essere distinto anche solo da un dettaglio nel fiore delle foglie. Gli ibridi di queste due specie hanno caratteristiche intermedie che rendono le piante veramente particolari. Sono normalmente molto grandi, vigorose e resistenti, con grandi fiori singoli. La macchia violacea non definita alla base è quella della peonia rockii ma il colore sfuma verso l'alto, verso le punte dei petali. L'ibrido presenta anche una varietà rosa, di solito più chiara o rosa più profondo, con striature violacee vivaci che hanno origine nel suo cuore. Il giardino mostra anche orgogliosamente un certo numero di Peonie erbacee. Facili e robusti questi arbusti, aiutati dalle loro radici a rizoma, sono ideali per i piccoli giardini che muoiono in inverno e ricrescono in primavera. I loro lunghi steli sono ideali anche per realizzare bouquet la cui fragranza permeante si disperde nella brezza fresca. In particolare la peonia lactiflora, originaria della Siberia, ha prodotto molte cultivar, con fiori che raggiungono i 20 cm di diametro. Ha un profumo dolce e varia dal rosso al bianco. Infine, un'altra specie che irradia il giardino con le sue vibranti sfumature rosa è la peonia Suffruticosa. Il suo fiore è caratterizzato da una corona di petali ricchi di colore e fogliame. Produce numerosi fiori e alcune specie, come l'Er Qiao, sono una sorprendente combinazione di due colori diversi. Questo Giardino di Peonie è una vera e propria oasi di tranquillità incastonata tra i colori e i profumi delle peonie e tra rose rampicanti, viti americane e passaggi di glicine che vacillano nella brezza primaverile, i rumori della città si sentono piacevolmente distanti. Nel complesso, l'Orto Botanico di Moutan ci invita a girovagare in un luogo unico nel suo genere, rivelandoci la particolarità e la bellezza che si cela dietro la peonia e tutte le sue specie esistenti.Greta Arancia Sanna ​ foto ©CRISTINA ARCHINTO Info: Centrobotanicomoutan.it Altri giardini botanici e vivai Orto Botanico di Ginevra Orto Botanico di Ginevra Orto Botanico di Palermo Roma Roseto di Roma Chicago Chicago Batanical Garden Giardino Esotico Pallanca Water Nursery Giardino Botanico di Hanbury

  • Libro orti botanici | terrimago

    SHOP LIBRI ORTI BOTANICI D'EUROPA Un viaggio tra storia, scienza e natura di Cristina Archinto Nati dalla moderna esigenza di sistematizzare la conoscenza della natura, i primi orti botanici sorgono per volere delle università: Padova nel 1545, poi Firenze, Pisa, Bologna nel 1568. Vi si studiano le specie d'uso comune, medico, alimentare, quindi le esotiche che lungo le rotte dal Nuovo Mondo, iniziano ad arrivare dai quattro angoli del pianeta. A partire dal '600 non c'è Casa Reale che rinunci al prestigio di formare la propria raccolta. E mentre su Londra, Parigi o Madrid convergono botanici ed esploratori, ad Amsterdam si celebra il Secolo d’oro degli scambi di bulbi e spezie con l’Oriente più remoto. Metà orto dei semplici, metà giardino delle meraviglie, si arricchiscono di serre, specchi d'acqua e terrazze pensili. Divengono luoghi sempre meglio deputati a osservare, acclimatare, disseminare, dove piante storiche ormai monumentali celebrano insieme il viaggio e la scoperta, l'erudizione colta e la speculazione scientifica. Se oggi Kew Gardens concentra la più vasta collezione, con il 95% dei generi conosciuti, ogni sede ha i suoi master pieces per la conservazione del nostro patrimonio botanico: semi o esemplari che permettono di sperimentare alle più varie latitudini, le specifiche condizioni di temperatura e di luce, di esaminare i periodi caratteristici di fioritura e riposo, di tutelare specie rare o in via di estinzione, alimentando un crescente, fondamentale, interesse per la biodiversità. Introduzione Chiunque entri in un Orto Botanico rimane colpito dall’infinita varietà di colori e profumi, attitudini e forme del mondo vegetale. Questo libro racconta la storia di una passione che ha spinto gli uomini verso spazi ignoti a esplorare le frontiere del sapere. Narra di come la scienza si sia evoluta cogliendo le leggi della natura, la tecnica applicata per condividerne le scoperte. Cristina Archinto con il suo lavoro di fotografa ci conduce in un viaggio negli Orti d’Europa alla ricerca del legame profondo che unisce le persone alla terra e fa dell’ambiente, un patrimonio di cui tutti dovremmo prenderci cura. Come sono nati gli Orti? Chi ne sono stati i veri protagonisti? E quali vicende ne hanno segnato lo sviluppo? Semplicisti rinascimentali che raccolgono erbe medicinali, avventurieri a caccia di piante nel Nuovo Mondo, naturaliste illuminate che erborizzano tra le campagne di casa: la botanica ha visto alternarsi scuole e scontrarsi rivalità ma è custodendone gli studi che gli Orti hanno allargato orizzonti e generato la pratica collaborativa, libera, ricca di apporti di vaste comunità con cui indagare gli ecosistemi. Si devono agli Orti i metodi per riprodurre e conservare gli strumenti per classificare, confrontare e divulgare conoscenze. Gli Orti hanno creato strutture per ospitare le specie esotiche, inventato biotopi per proteggere endemiche e minacciate. Nell’intreccio di verde, artifici e flora spontanea, ogni Orto ha realizzato un microcosmo unico che ha ispirato parchi e vivai, curiosità e ulteriori sperimentazioni; la cultura degli Orti ha così permeato anche la vita quotidiana e oggi affronta la sfida climatica, diffondendo un nuovo rispetto per la natura che ci circonda. Alessandra Valentinelli ​ Indice Introduzione Orto Botanico di Padova - Alle origini degli Orti Orto Botanico di Amsterdam - Il Secolo d’Oro delle specie esotiche Jardin des Plantes - La Rivoluzione botanica Giardino Botanico di Madrid - Alla scoperta del Nuovo Mondo Orto Botanico di Roma - La bellezza della flora spontanea Kew Gardens - Il capolavoro delle Serre inglesi Giardino Botanico e Museo Botanico di Berlino - L'eredità di Linneo Giardini Botanici Hanbury - I Giardini del Grand Tour Giardino Botanico di Bruxelles-Meise - Orti e vivai Orto Botanico di Dublino - Il Cammino Verde, la natura tra passato e futuro ​ Titolo: ORTI BOTANICI D'EUROPA Un viaggio tra storia, scienza e natura Autore: Cristina Archinto Testo: Alessandra Valentinelli Fotografie: Cristina Archinto Traduzione: Stefania Bellingardi Beale Testo: italiano e inglese Libro illustrato con 110 fotografie Formato 24 x 23 cm Numero di pagine 144, Copertina morbida con alette Confezione in brossura Costo 26.00€ Isbn: 979-12-200-6912-0 ​ ​ Vendita on line: Libreria Oolp Terrimago edition ​ RECENSIONI ​ Giardini in viaggio Viride blog ​

  • Parco Giardino Sigurtà | terrimago

    VENETO PARCO GIARDINO DI SIGURTÀ L’incanto dei tulipani dall’antica Persia alle Valli del Mincio Fotografie Cristina Archinto Testo Carla De Agostini N onostante il freddo di fine marzo i tulipani del Parco Giardino Sigurtà sono spuntati! Al confine tra Veneto e Lombardia, a Valeggio sul Mincio, i 60 ettari del Parco si sono colorati grazie alla Tulipanomania, la fioritura di tulipani più ricca in Italia, la seconda a livello europeo, per la presenza di oltre un milione di bulbi. Il percorso di circa 10 km su vialetti in porfido incanta il visitatore tra radure fiabesche e monumenti in ricordo della famiglia Sigurtà. Scandito da vaste visuali sul Mincio, l’itinerario attraversa ponticelli, specchi d'acqua, raggiunge le aiuole del Grande Tappeto Erboso e le isole galleggianti, rotanti nei Laghetti Fioriti. Ogni angolo è una sorpresa, non solo per i tulipani ma anche per i narcisi, i muscari, i giacinti, le fritillarie. La loro disposizione è frutto di uno studio approfondito che garantisce una cromia perfetta, per centinaia di sfumature variopinte. Mentre, primavera dopo primavera, le aiuole si rinnovano, regalando sempre nuovi spettacoli. La proprietà, prima della famiglia Contarini, poi Maffei, è acquistata nel 1941 da Giuseppe Carlo Sigurtà che nel 1978 la apre al pubblico. L’area diventa presto un parco naturalistico e nel 2019 i Giardini di Sigurtà vengono premiati dalla World Tulip Society per l’eccellenza nella promozione e nella celebrazione del tulipano. Oggi Tulipanomania è un vero e proprio Festival che ne esalta la bellezza. ​ La storia del tulipano parte ad Oriente: dal persiano delband , che significa copricapo o turbante. Le prime coltivazioni avvengono in Turchia dove raggiunge grande popolarità nel XVI secolo. Durante il regno di Solimano il Magnifico, si sviluppano numerose varietà che dalla sua corte esportate a Vienna, poi in Olanda e in Inghilterra. La scelta del nome Tulipanomania richiama la Febbre dei Tulipani che scoppiò in Olanda nella prima metà del XVII secolo. In quegli anni la domanda di tulipani toccò un picco così alto che ogni singolo bulbo raggiunse prezzi incredibili: nel 1623 alcuni arrivarono a costare anche un migliaio di fiorini olandesi. Considerando che il reddito medio annuo dell'epoca era di 150 fiorini, i bulbi divennero un bene su cui investire, scambiare con terreni, bestiame o case. Nel 1630, per soddisfare le esigenze del mercato, esistevano oltre 140 diverse specie di tulipani registrate solo in Olanda: ibridi monocolore, multicolore con striature, tratti o foglie fiammeggianti, tutti facevano a gara per creare il tulipano più bello e raro. Il prezzo record fu registrato per il bulbo più famoso, il Semper Augustus , venduto ad Haarlem per ben 6.000 fiorini. Nel 1636 divennero il quarto prodotto di esportazione più importante dell'Olanda, ma alla fine di quell'anno la “Bolla dei Tulipani”, raggiunto l’apice, scoppiò, mandando sul lastrico tantissime persone. La febbre riprese in Inghilterra nel 1800, dove il prezzo di un singolo bulbo arrivò a quindici ghinee, una somma che bastava ad assicurare a un lavoratore e alla sua famiglia cibo, vestiti e alloggio per almeno sei mesi. Ma nessun altro paese d'Europa eguagliò più il livello di tulipanomania degli olandesi. ​ L’odierna Tulipanomania del Giardino Sigurtà ha a cuore il tema del giardino ecologico; premiato dall’European Award for Ecological Gardening, il Parco sensibilizza l’opinione pubblica promuovendo visite a piedi, in bici, in golf-cart elettrico o in trenino rétro che segue l’Itinerario degli incanti con guida multilingue. Sulla stessa linea di pensiero si inserisce la creazione del Labirinto, inaugurato nel 2011 su un’area prima adibita a parcheggio, dove ora crescono millecinquecento piante di tasso alte più di due metri, disegnando geometrie naturali su una superficie rettangolare di 2.500 metri quadri. Dalla torre al centro del Labirinto, si può ammirare la Grande Quercia che si erge da oltre quattro secoli. Finita la visita la sensazione sarà quella di non aver visto tutto. La grande varietà di luoghi sarà la scusa perfetta per tornare e scoprire il Giardino, in cerca di nuovi colori e fioriture in nuovi periodi dell’anno. IL TULIPANO NELLA STORIA “L’arte non poteva fingere una grazia più semplice, né la natura formare una linea più bella” scriveva James Montgomery, poeta scozzese, a fine ‘700. I tulipani, una specie bulbose appartenenti alla famiglia delle Liliaceae, intorno al 1554 vengono menzionati per la prima volta in Europa occidentale sotto il nome di tulipa , dal genere latino, o tulipant . La parola probabilmente deriva dal persiano دلبند delband "turbante" per la sua somiglianza col fiore. Uno dei racconti più antichi risale all’antica Persia: il giovane principe Farhad apprende che Shirin, il suo grande amore, è stata uccisa. Sopraffatto dal dolore, si getta da una scogliera. In realtà è un geloso rivale ha diffondere questa falsa voce per ostacolare la loro relazione. Così a simboleggiare l'amore eterno e il sacrificio, la tradizione vuole che dove il sangue del giovane principe sia gocciolato siano cresciuti dei tulipani. Ancora oggi in Iran, dove il tulipano è simbolo nazionale del martirio, usato anche come simbolo nella rivoluzione islamica del 1979, ricorda i martiri morti nella battaglia di Karbala nel 680 D.C. Le peripezie di questo fiore sono variegate e arrivano fino in Europa, in Olanda precisamente, dove nel 1636 la domanda di bulbi di tulipano crebbe a un livello tale che si cominciò a investirci in Borsa. I giornali dell’epoca, per esempio, riportano la storia di un birraio di Utrecht che scambiò la propria fabbrica di birra per soli tre bulbi di tulipano. I fiori divennero gioielli per le dame, arricchendone anche il significato intrinseco: regalare un tulipano può significare amore incondizionato e perfetto, o serve a brindare alla realizzazione di un obbiettivo raggiunto, può alludere alla vanità, o rispecchiare l’attitudine filosofica e la caducità della vita. Non a caso ritroviamo un vaso di tulipano vicino al busto di Seneca nel quadro I quattro filosofi dell’artista fiammingo Pieter Paul Rubens, a richiamare la scomparsa dei due personaggi al centro del dipinto, tanto cari al pittore. GALLERY Foto ©CRISTINA ARCHINTO LINK Sito ufficiale Altri GIARDINI e PARCHI Gairdino di Villa Lante Villa Lante parco del Flauto Magico Parco Flauto Magico Bomarzo Parco Villa la Grange Labirinto della Masone Giardino di Kenroku-en Giardino dell'impossibile Giardino di Ninfa

  • Orto Botanico di Berlino | terrimago

    GERMANIA ORTO BOTANICO DI BERLINO Il Mondo in un Giardino Fotografie Cristina Archinto Testo Carla De Agostini e Noa Terracina L ’Orto Botanico di Berlino coi suoi 43 ettari e le sue 22.000 specie di piante è una vera e propria istituzione botanica ed è uno dei più grandi al mondo. Fondato nel 1679 come luogo adibito alla coltivazione di ortaggi, si è poi spostato nel quartiere di Lichterfelde, subendo una trasformazione significativa in giardino paesaggistico tra il 1897 e il 1910 sotto la direzione di Adolf Engler il cui motto era “il mondo in un giardino”. In un terzo dell’intera area esterna dell’orto le piante sono disposte in un ordine fitogeografico, ovvero per area geografica , per cui in quest’area è come passeggiare per i diversi habitat del mondo: dai boschi alle praterie, e dalle montagne degli Stati Uniti a quelle dell’Asia. Per esempio, nei giardini rocciosi sono rappresentati gli Appalachi del versante atlantico e le montagne del Pacifico californiano. Si può poi attraversare l’altopiano anatolico e l’Himalaya, dove è riprodotta la vegetazione sia del versante occidentale caratterizzato da lunghe piogge monsoniche, sia di quello orientale con mesi ancora più umidi e differenze visibili. Per poi concludere in Giappone, dove si possono riconoscere Prunus , Magnolie, e vari tipi di foresta con ad esempio la Cryptomeria japonica e la Sophora japonica . Le zone esterne sono altrettanto interessanti, si passa per l'arboreto che raggruppa gli alberi in base alle loro relazioni naturali, il giardino che stimola l'olfatto e il tatto con piante aromatiche comuni e non , o il giardino delle piante medicinali con circa 230 tipi di piante disposte per aree di applicazione per specifiche malattie, c'è persino un piccolo giardino all’italiana, fino ad arrivare alle paludi e ai giardini acquatici con 200 piante di cui alcuni esemplari in via di estinzione. Un altro angolo molto piacevole è il roseto, molto ben tenuto, ha una notevole collezione di rose da tutto il mondo . Infine, c’è la zona delle piante erbacee, in parte protetta dal passaggio dei visitatori, con al suo interno un’ottantina di piante in via di estinzione. Ma il vero fiore all’occhiello è la grandissima Serra Tropicale, dichiarata Patrimonio dell'Umanità , che da oltre cent’anni è il simbolo del Giardino Botanico. Esempio notevole di architettura in vetro e acciaio del XIX secolo, ancora oggi è una delle serre autoportanti più imponenti e più grandi del mondo, con più di 1.400 specie di piante. Distrutta nell’autunno del 1943 durante la guerra, negli anni 60’ viene ricostruita una prima volta, ma solo grazie all’ultima ristrutturazione del 2009 con materiali tecnologici innovativi diventa una struttura completamente all’avanguardia: con forti risparmi energetici, fino punte al 70% negli impianti di climatizzazione, fondamentali nelle serre. Suddivisa in quattordici ambienti distinti tutti collegati, è da sempre un incanto per chi vi passeggia per la sovrabbondanza di piante e fiori variopinti di ogni tipo e specie: dai bambù giganti nella serra tropicale, alle felci con più di 200 anni , con la collezione di orchidee e piante carnivori nella serra delle felci. Anche le succulente, provenienti dalle regioni tropicali e subtropicali del Vecchio Mondo, hanno una loro serra , in cui dominano le specie di Euphorbia, a forma di candelabro, e di aloe con le loro grandi foglie carnose. La serra vicina invece presenta un paesaggio di succulento del Nuovo Mondo, dove risiedono soprattutto cactus cresciuti a dismisura, ma anche specie come le agavi e altre Crassulaceae . L’ultima arrivata invece è la Victoria House, dove oltre a primeggiare le famose ninfee giganti , come la Victoria Amazonica che con le sue imponenti foglie galleggianti può sopportare fino a un peso di oltre 100 kg distribuito uniformemente, si studiano anche alcune specie che secondo Frontiers Plants Biology sono in via di estinzione, come in Bolivia a causa della distruzione del loro habitat. Un altro luogo di eccellenza è il Museo Botanico aggiunto nel 1905 al complesso dell’Orto Botanico: unico nel suo genere in tutta l’Europa centrale, conserva oltre al prezioso patrimonio dello storico erbario regio e dell’erbario berlinese, gli studi focalizzati sulle interazioni tra i viventi con la chimica dei terreni, la fisica e l’idrologia. Tale impostazione è ereditata dalle ricerche di Adolf Engler, celebre per il suo approccio alla tassonomia delle piante, basato su schemi evolutivi ispirati da Charles Darwin, cui aggiunge l’importanza della distribuzione geografica: l’idea per cui le piante si adattano alle condizioni climatiche, formando delle comunità. In quegli anni presto si parlerà di biotopo, ossia di unità minime territoriali che permettono lo sviluppo di organismi viventi, piante e animali, con determinate caratteristiche fisico-chimico-climatiche; un concetto cruciale per lo sviluppo e la conoscenza di habitat, climi ambientali e dell’odierna ecologia. Per questo la visita al museo è dedicata, oltre che alla discendenza delle piante, ai tipi di vegetazione e ai loro diversi ambienti, all’influenza che l’ambiente e le condizioni climatiche esercitano sulla morfologia delle piante. L’Orto Botanico di Berlino è veramente un crocevia di conoscenze e biodiversità , un luogo di studio e ricerca, ma anche di ospitalità per chiunque voglia passeggiarvi e respirare aria da tutto il mondo. Non c’è stagione che non si distingua egregiamente per i suoi colori, profumi, o scenari, e ogni scusa è buona per passare da qui. IN EVIDENZA LA VICTORIA AMAZONICA ​ La Victoria Amazonica è un nome che ci evoca quelle enormi foglie galleggianti su l’acqua. Ma non tutti sanno che è stata la morfologia di questa ninfea unica a ispirare la serra Crystal Palace di Kew di Londra nel 1851, realizzato in ferro e vetro. L’idea parte proprio dalla forza della foglia, le cui costole della faccia inferiore, organizzate come un sistema di contrafforti, riescono a reggere fino a 100 kg un peso distribuito uniformemente. Le foglie centriche a simmetria radiale rigide e coperte da robuste spine sono rinforzate da più nervature concentriche e flessibili distribuite in direzione opposte, caratteristica morfologica che si ripresenta nella soluzione costruttiva del Crystal Palace. Ma il fascino delle Victoria non si ferma qua, i loro enormi fiori possono raggiungere i 30 cm di diametro, e sbocciano solamente per un giorno e due notti. La prima sera, al crepuscolo, si apre un grosso bocciolo ricoperto di spine e appare un fiore bianco che grazie a una reazione termodinamica innalza la propria temperatura interna 11 gradi sopra a quella ambientale. Questo calore sprigionato e un profumo, simile all’ananas attraggono i coleotteri che all’alba, quando il fiore si richiude, vi rimangono intrappolati. Ma non essendo piante carnivori non muoiono, bensì vi trascorrono la giornata nutrendosi delle appendici floreali ricche di amido. La seconda notte il fiore cambia colore, e prende le tinte del rosa o del rosso e al tramonto libera gli insetti, che intrisi di polline vanno a fecondare un altro fiore. All’alba del secondo giorno il fiore appassisce, si richiude e si immerge, ed è lì che maturerà il frutto. Link Serra Victoria GALLERY Foto ©CRISTINA ARCHINTO Info: Sito ufficiale Altri giardini botanici e vivai Orto botanico di Madrid Orto botanico di Amsterdam Orto botanico di Napoli Orto Botanico di Zurigo e la Serra Malgascia Giardino Botanico Nuova Gussonea Orto Botanico di Catania Orto Botanico di Ginevra Centro Botanico Moutan

  • Giardino dell'impossibile | terrimago

    SICILA FAVIGNANA IL GIARDINO DELL'IMPOSSIBILE Un’attività antica e caratteristica della Sicilia e in particolare di Favignana, una delle Isole Egadi, era lo sfruttamento delle cave di tufo, dette “pirrere”, dove la roccia di calcarenite compatta veniva ridotta in blocchi di varie dimensioni. I mastri cavatori (i pirriaturi) utilizzando mannaie e altri semplici arnesi manuali hanno scavato il terreno in profondità, lasciando vaste voragini nel caso delle cave a cielo aperto, o un dedalo di gallerie, cunicoli ed ambienti nel caso delle cave in grotta. A Favignana, gli abitanti estraevano la pietra dapprima lungo la costa, poi, per non farsi individuare dai pirati, nell’interno dell’isola. Quando non vi era più nulla da utilizzare, la cava veniva abbandonata, e allora, il più delle volte, veniva trasformata in “giardino”: per la sussistenza delle famiglie vi venivano infatti pianti soprattutto alberi da frutto, come mandorli, carrubi, limoni e arance, che crescevano a meraviglia, protetti dal caldo estivo, dai venti invernali, dalla salsedine. A volte si piantavano anche qualche pino o palma, per simboleggiare l’acqua come nel mondo arabo, oppure la vite, il melograno e qualche fiore, da portare in casa e al cimitero, e vi si allevavano animali da cortile, come conigli, galline, e perfino il maiale; ovviamente dovevano contenere un pozzo, dal quale si estraeva l’acqua, che, anche se leggermente salmastra serviva per cucinare, lavare, per annaffiare gli alberi e le piante. Grazie a questi giardini, oggi definiti giardini ipogei, Favignana era autosufficiente. Oggi Favignana ne è costellata, parte integrante di abitazioni e giardini, persino nel centro storico, perché spesso le case dei proprietari venivano costruite accanto alle cave; il loro recupero, quindi, è necessario per restituire la memoria di questi luoghi e promuoverne la conoscenza. È quanto è accaduto con i Giardini Ipogei di Villa Margherita, detti anche Giardini Impossibile, iscritti nel Libro delle Espressioni del R.E.I.L. Isole Egadi in quanto espressione del patrimonio culturale dell’umanità. Sono il frutto di un sogno e della tenacia della loro proprietaria, Maria Gabriella Campo, che, arrivata a Favignana come giovane sposa, quaranta anni fa, decise, contro il parere di tutti, di bonificare le grandi cave di famiglia, e di trasformarle in giardini. Durante i lavori di bonifica, iniziati nel 2001, sono emersi scorci suggestivi e le tracce dei diversi sistemi di taglio nelle varie epoche estrattive: le gallerie e grotte risalenti al Sette-Ottocento e la grande parte a cielo aperto, tagliata con mezzi meccanici negli anni 1950-60. Quattro anni dopo, nel 2005, dopo l’aggiunta di terra per innalzare di alcuni metri il fondo delle cave più profonde, sono state messe a dimora oltre 300 specie e varietà diverse, provenienti da tutto il mondo, tra cui pini d’Aleppo, alberi da frutta, carrubi, falso pepe (Schinus molle), olivi, corbezzoli, Polygala myrtifolia, Callistemon, ginestre, agavi e Dasylirion a profusione, papiri e ninfee. Oggi, Giardini Ipogei di Villa Margherita (che è anche residence) sono dunque un luogo di estrema magia, un orto botanico e un Eden sommerso. Percorrendoli, si percepiscono, a tratti, immagini di paesaggi lontani e quasi primordiali, di antichi tempi pagani, dei giardini arabi e persiani. ​ Testo di Margherita Lombardi tratto da: ITALIAN BOTANICAL HERITAGE Il giardino Info: Sito ufficiale Altri giardini Villa d'Este GIARDINO Kenroku-en PARCO Ninfa GIARDINO Villa Pizzo GIARDINO Castello di Masino GIARDINO Parigi PARCO

  • Orto Botanico Siena | terrimago

    TOSCANA ORTO BOTANICO DI SIENA L’Orto Botanico è situato dal 1856 in una delle valli verdi (2,50 ettari) all’interno delle antiche mura di Siena e conserva oltre 2000 specie vegetali, dalle tipiche mediterranee dell’ambiente toscano, alle più originali provenienti da paesi esotici. La struttura visibile oggi, organizzata nello stile dei giardini ottocenteschi italiani, è un luogo suggestivo, con numerose testimonianze che riconducono la sua storia al XVI secolo. La restante ampia porzione dell’Orto che si apre nella vallata, conserva l’aspetto di podere intercalato da aree rocciose e umide per la presentazione di particolari ambienti toscani. L’Orto Botanico presenta ambienti diversi che ospitano ovviamente determinate specie botaniche: la Scuola: terrazze artificiali create all’inizio del Novecento per ospitare le piante officinali; il parco, suddiviso in varie aiuole di caratteristica impronta ottocentesca, che ospitano molteplici specie; gli ambienti acquatici , riprodotti nell’Orto in varie modalità: vasche in muratura, laghetti, stagni, ruscelli, ecc., in modo da poter visualizzare l’enorme varietà delle specie acquatiche; il giardino roccioso, che ospita specie spontanee della Toscana centro-meridionale, presenti in aree a forte pendenza, in zone intensamente pascolate e in aree boschive degradate, sottoposte a tagli irrazionali e/o percorse da incendi; la scarpata umida, rocciosa con stillicidio, è stata allestita negli anni 2000 per esporre piante indigene di ambienti umidi e freschi; il podere: esempio di valle agricola del territorio toscano all’interno della cinta muraria senese. Index Seminum 2020 Disseminate nelle aiuole del Parco vivono le orchidee spontanee. Sono infine presenti 4 serre: Antica serra o serra tropicale, Tepidario, Limonaia, Serra sperimentale. GALLERY foto ©CRISTINA ARCHINTO Info: Sistema museale Universitario Orto Botanico Italia Video Altri giardini botanici e vivai Orto Botanico di Ginevra Centro Botanico Moutan Orto Botanico di Palermo Roseto di Roma Chicago Batanical Garden Giardino Esotico Pallanca Parco Botanico Villa Rocca Giardino Botanico di Hanbury

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